Rete TIM, Avv. Genna: “CDP non può pagare qualsiasi prezzo a Vivendi”

“Prezzo della rete dovrebbe essere pagato a TIM, non a Vivendi.  La situazione dell’azionista francese è comprensibile, però fu una sua scelta quella di comprarsi la partecipazione in TIM e dovrebbe semmai spiegare cosa ha fatto per valorizzarla”. L’intervista a Il Giornale d’Italia

La questione relativa alla valutazione della rete TIM e i dissapori tra CDP e Vivendi che ne derivano, continua a far discutere, nonostante Pietro Labriola, AD di TIM, avesse tentato di rassicurare i mercati invitando a non farsi influenzare da indiscrezioni di stampa.

Solo ieri sono circolati rumors su un possibile cambio alla presidenza di TIM voluta dagli azionisti francesi che a Salvatore Rossi preferirebbero Massimo Sarmi, ex ad di Poste di Italiane e attuale presidente di FiberCop.

Ma la rete unica si farà?  Ne abbiamo parlato con un vero esperto in materia: Innocenzo Genna, giurista specializzato in strategia, public affairs e regolamentazione europee nel settore delle telecomunicazioni e di Internet.

L'intervista de Il Giornale d'Italia all'Avv. Innocenzo Genna

Cosa pensa della situazione tra CDP e Vivendi relativa alla valorizzazione della rete TIM?

Che si tratta di una situazione surreale, perché ancora non si è capito il perimetro della rete che sarà separata da TIM, quindi figuriamoci il valore. IL progetto non dovrà attuare nessun cherry picking che possa mantenere una relazione privilegiata tra la rete e TIM.  È quindi probabile che le autorità italiane competenti, nonché la Commissione europea, interverranno. Date queste circostanze, sarei molto cauto sulla valutazione della rete.

Vivendi però sembra basare la sua valutazione non sulla rete TIM “stand alone”, bensì già nell’ottica di una fusione con Open Fiber e la creazione della Rete Unica

Ne ho letto, però si tratta di un modello che finisce per moltiplicare le incertezze sull’intera operazione. La Rete Unica potrebbe essere un progetto a rischio perché la Commissione europea difficilmente farà passare una rimonopolizzazione del settore, anche a fronte di un operatore non verticalmente integrato, perché ormai il processo di cablatura del Paese è decollato e l’Italia sta recuperando il gap di connettività con l’Europa. In altre parole, dal punto di vista industriale in Italia non c’è più bisogno di una Rete Unica, anche se questo progetto resta un tema importante dal punto di vista finanziario (cioè per la sopravvivenza di TIM) e strategico (cioè per il controllo dello Stato).  

Quindi la Rete Unica non si farà?

Si farà solo se il governo italiano ci crederà fortemente e si batterà per essa a Bruxelles, ma probabilmente a costo di importanti modifiche. Fratelli d’Italia, il partito che potrebbe vincere le prossime elezioni politiche del 25 settembre, lo ha già compreso ed ha preso atto che nel perimetro della Rete Unica non entreranno le c.d. “aree nere” (le aree metropolitane ed a maggiore densità), perché sicuramente la Commissione imporrà alla Rete Unica delle importanti dismissioni in quelle zone, in modo da mantenervi la concorrenza. Quindi l’architrave della valutazione di Vivendi, costituito dal monopolio della Rete Unica nelle aree più ricche d’Italia, è destinato a svanire, e con esso la valutazione da 30 miliardi. Dato questo scenario così aleatorio, una buona parte del prezzo della rete dovrebbe semmai essere depositato in un conto escrow e pagato solo dopo all’avveramento delle condizioni immaginate da Vivendi.

Ma a chi dovrebbe essere pagato il prezzo della rete TIM?

Questo è un tema interessante, di cui ancora non si è parlato abbastanza. Quei soldi dovrebbero essere pagati a TIM, non a Vivendi. Quest’ultima, in quanto azionista, potrebbe riceverne una parte solo a seguito di un maxi-dividendo. Ma mi chiedo: considerato il sacrificio di TIM nel vendere la rete, i problemi occupazionali, l’esigenza di ridurre il debito, come farebbe a giustificarsi un maxi-dividendo del genere?

Ma secondo lei Vivendi ha diritto ad una sorta di compensazione per le perdite subite con le azioni TIM?

La situazione di Vivendi è comprensibile, però fu una loro scelta quella di comprarsi la partecipazione in TIM. Vivendi dovrebbe semmai spiegare cosa ha fatto per valorizzarla. Da quando è entrata in TIM, nel 2016, Vivendi ha avuto un ruolo molto influente nella società: avrebbe potuto investirci, indicare un posizionamento strategico, creare delle sinergie. Ma non risulta che ciò sia avvenuto, anzi, la visione strategica di Vivendi su TIM non è mai stata chiara e non sembra che essa abbia adottato misure efficaci per impedirne il declino. Tutto questo mentre il mercato andava in controtendenza: ad esempio alcune c.d. “sorelle” europee di TIM, vale a dire Deutsche Telekom ed Orange, nello stesso periodo hanno migliorato i loro conti. In altre parole, Vivendi non sembra essere nella miglior posizione per invocare moralmente un risarcimento per le perdite subite in TIM.

Che cosa potrebbe accadere ora?

Vivendi può chiedere quello che vuole, semmai è CDP che non può pagare qualsiasi prezzo. L’operato di CDP è soggetto al controllo della magistratura contabile, e l’uso delle sue risorse potrebbe essere investigato dalla Commissione Europea sulla base delle norme sugli aiuti di Stato. Inoltre, il perimetro e la consistenza della rete in vendita saranno soggetti alla verifica di compatibilità con le norme antitrust, ancor prima di ipotizzare una potenziale fusione con Open Fiber. Insomma, la negoziazione sul prezzo della rete Tim si sviluppa in un perimetro stretto, per cui alcune cifre da bazar di cui si legge nei giornali dovranno presto essere ridimensionate.