"Verso il nuovo mondo... per rincontrarci", il nuovo libro di poesie di Pietro Nigro: dal dolore personale alla sofferenza di Gaza
Pubblicato il libro di poesie “Verso il nuovo mondo… per ricontrarci” di Pietro Nigro, con prefazione di Enzo Concardi, nella prestigiosa collana “Alcyone 2000”, Guido Miano Editore, Milano 2024
Ci sono perdite che non trovano parole. E allora ci affidiamo alla poesia che ha il coraggio di farsi fragile, di dire l’indicibile con versi spezzati, sospesi tra dolore e speranza.
Questa raccolta nasce dal cuore di un uomo, Pietro Nigro, che ha amato profondamente, e che ora cammina in un silenzio nuovo, dove ogni eco ricorda un sorriso, una carezza, una complicità. Le poesie che il lettore troverà in queste pagine non sono solo un tributo alla donna amata e perduta, ma un dialogo ininterrotto con la sua assenza. Sono voci che si levano dal vuoto, tentativi di cucire la distanza con parole che diventano ponti. Eppure, tra le righe di questa malinconia, affiora una luce. È la speranza — discreta, ma tenace — di un altro incontro, in un luogo dove il tempo non separa e l’amore non conosce confini. Chi legge queste poesie non trova solo il dolore di chi resta, ma anche un invito: quello di credere che l’amore sopravvive e trasforma il lutto. Si leggano i seguenti versi:
«… L’ultima volta che ti vidi
i tuoi occhi afflitti fissarono i miei
come preghiera a non lasciarci.
Nel buio della notte
si è perduto il tuo sguardo…»
(Giovanna)
La perdita della persona amata — della propria compagna, amica, confidente, anima gemella - è un evento che non lascia solo un vuoto fisico, ma spalanca un abisso interiore, una terra straniera dove ogni passo è incerto, ogni ricordo è al tempo stesso rifugio e ferita memoria viva, e custodisce la promessa di ritrovarsi, un giorno, in un mondo nuovo.
« Ci ritroveremo in quel luogo un giorno
in un mondo senza inizio e fine
io e te,
e gli altri che amammo.
Avremo nuove sembianze
sprazzi d’un infinito fulgore… »
(Ci ritroveremo)
Le poesie raccolte in questo volume nascono proprio da lì: da quel silenzio improvviso che segue l’addio, da quella solitudine che non è mera assenza, ma presenza muta, fantasma affettuoso che accompagna ogni gesto quotidiano. Pietro Nigro ci guida in un percorso intimo e coraggioso, in cui la parola diventa carezza, grido, preghiera. Ogni verso sembra interrogare il vuoto con dolcezza, come chi sa che l’unico modo per non perdersi è continuare a parlare con chi non risponde più, a chiamarla per nome, a darle ancora un posto nel mondo.
« Vaga il mio sguardo,
ma non ti trovo.
Invano ripeto il tuo nome
e non rispondi.
Non so se nei miei giorni rimasti
sopporterò il dolore
che trafigge la mia consunta essenza
errabondo in questo deserto
senz’oasi,
solo sabbia
che soffoca il mio respiro…»
(Piango la tua assenza)
Eppure, in questa elegia composta, non vi è disperazione assoluta. Anzi, tra le righe si insinua una luce tenue, che non cancella il dolore ma lo trasfigura: è la speranza. Una speranza che non ha certezze terrene, ma che osa immaginare. Immaginare un tempo oltre il tempo, un luogo in cui gli sguardi si ritrovano, in cui le mani tornano a cercarsi e a stringersi. Una speranza che non nega la morte, ma afferma la potenza dell’amore che sopravvive ad essa.
Questa raccolta, dunque, non è solo un atto d’amore verso chi non c’è più, ma anche un dono a chi resta. È un invito a non temere il dolore, ad attraversarlo con sincerità, a lasciare che si trasformi in memoria viva, in presenza sottile. È, in fondo, una dichiarazione: che l’amore vero non finisce, ma cambia forma. Che le anime, se nate per camminare insieme, trovano sempre un modo per ricongiungersi — in questa vita, o in quella che ci attende. Leggendo questi versi, ci ritroviamo spettatori di un amore che continua a vibrare tra le parole, e forse, senza accorgercene, impariamo anche noi a riconoscere la presenza nell’assenza. A credere, almeno per un istante, che nessun addio sia definitivo.
L’autore ci conduce tra le pieghe del suo lutto con una delicatezza disarmante. I versi non gridano: sussurrano. Ricordano un volto amato, una presenza che ha lasciato tracce ovunque — in un gesto quotidiano, in un oggetto che non sa più a chi appartenere, in una città lontana che ora parla solo la lingua del ricordo. Parigi ritorna più volte tra le pagine, non solo come luogo geografico, ma come simbolo di luce, bellezza condivisa, e di quella gioia serena che ora risplende attraverso il filtro della nostalgia.
« Cerco te, Parigi,
sognando l’antica collina di Montmartre
che riporta ancora l’eco
d’un’era lontana
di poeti e pittori che la fecero grande
e colmarono le menti
d’un incanto infinito… »
(Cerco te Parigi)
Ma il dolore personale non chiude l’autore in un guscio solitario: al contrario, sembra spalancarlo ancora di più verso il mondo. L’assenza lo rende più sensibile alla sofferenza altrui, e così il pensiero corre anche alle tragedie contemporanee, a quelle ferite collettive che ogni giorno l’umanità è costretta ad affrontare. I versi accennano con pudore ma fermezza ai bambini di Gaza, a quel dolore innocente che attraversa il nostro tempo come una ferita aperta. L’autore, nel suo lutto privato, riconosce il lutto del mondo, e in questo riconoscimento trova forse un altro modo per rimanere umano: provando empatia, restando aperto, continuando ad amare.
« Anche i bambini di Gaza
si sono addormentati per sempre
nel nero grembo del nulla.
A chi volgeranno lo sguardo
e il blando sorriso
le madri affrante… »
(Morte nel deserto del Negev e a Gaza)
Il lettore troverà la speranza, mai imposta, sempre suggerita, che l’amore — quello vero, quello che sopravvive ai corpi e ai confini — abbia la forza di ricongiungere ciò che la morte ha separato. Che da qualche parte, oltre il tempo e le lacrime, ci sia ancora un luogo dove riconoscersi, ritrovarsi, rinascere insieme.
Ho conosciuto l’autore quando ero ragazzo. Ricordo bene un pomeriggio, a casa sua, accanto a mio padre. In quell’incontro, nel calore semplice di una conversazione, ho percepito la profondità di uno spirito gentile, animato da un’intelligenza umanistica e da un senso autentico della solidarietà. Un uomo che sa ascoltare, comprendere e condividere. Questa raccolta ne è il riflesso più vero. Un’antica amicizia che dura dai tempi del volume Il deserto e il cactus, la prima opera di Pietro Nigro pubblicata da questa Casa editrice nel 1982; era il tempo in cui mio padre Guido, già allora riconosceva l’ispirazione poetica di un uomo profondamente coerente: la solitudine come luogo di verità, l’amore come forza salvifica, e la tenacia dello spirito umano di fronte al dolore.
La presente raccolta è anche un tributo ad un’amicizia che dura nel tempo, un filo sottile che lega le generazioni. Un’amicizia nata nei libri, grazie a una robusta cultura classica, nutrita da ideali comuni, e oggi più che mai testimone della forza della scrittura come forma di cura e consapevolezza. Il dialogo tra mio padre e l’autore continua in queste pagine, e io, oggi, ho l’onore di raccoglierne l’eco e in qualche modo esserne l’artefice di questo rinnovato sodalizio umano ancor prima che culturale.
A chi legge auguro di lasciarsi attraversare da questi versi. Di trovare in essi non solo il dolore, ma anche la bellezza di un amore fedele. E la speranza — fragile e ostinata — che, oltre la separazione fisica, vi sia ancora un luogo dove incontrarsi… Verso un nuovo mondo.
E di questo, dobbiamo essere grati a Pietro Nigro.
Di Michele Miano
L’autore Pietro Nigro
Pietro Nigro è nato ad Avola (SR) nel 1939 e risiede a Noto (SR); laureato in Lingue e Letterature Straniere all’Università di Catania, ha insegnato inglese presso varie scuole superiori. Ha iniziato a scrivere poesie fin da ragazzo; la sua ispirazione trae origine dai luoghi siciliani della sua infanzia e dagli ambienti francesi e svizzeri visitati durante le vacanze estive, in particolar modo Parigi (la sua città d’elezione), dove si recava spesso per perfezionare la conoscenza della lingua francese. Il primo libro di liriche, Il deserto e il cactus, è stato pubblicato da Guido Miano nel 1982 e gli è valso il 1° Premio assoluto per la poesia edita, Targa “Areopago” (1983, Roma). Sono seguite molte opere poetiche, testi di saggistica e altri lusinghevoli riconoscimenti, tra cui il prestigioso Premio “Luigi Pirandello” per la Letteratura (Taormina, 1985) e il Premio “La Pleiade ‘86” «per la produzione letteraria e poetica già riconosciuta a livello critico» (sala del Cenacolo di Montecitorio, Camera dei Deputati, Roma 1986).