"Verso il nuovo mondo... per rincontrarci", il nuovo libro di poesie di Pietro Nigro: dal dolore personale alla sofferenza di Gaza

Redazione, Michele Miano

Pubblicato il libro di poesie “Verso il nuovo mondo… per ricontrarci” di Pietro Nigro, con prefazione di Enzo Concardi, nella prestigiosa collana “Alcyone 2000”, Guido Miano Editore, Milano 2024

Ci sono perdite che non trovano parole. E allora ci affidiamo alla poesia che ha il coraggio di farsi fragile, di dire lindicibile con versi spezzati, sospesi tra dolore e speranza.

Questa raccolta nasce dal cuore di un uomo, Pietro Nigro, che ha amato profondamente, e che ora cammina in un silenzio nuovo, dove ogni eco ricorda un sorriso, una carezza, una complicità. Le poesie che il lettore troverà in queste pagine non sono solo un tributo alla donna amata e perduta, ma un dialogo ininterrotto con la sua assenza. Sono voci che si levano dal vuoto, tentativi di cucire la distanza con parole che diventano ponti. Eppure, tra le righe di questa malinconia, affiora una luce. È la speranza — discreta, ma tenace — di un altro incontro, in un luogo dove il tempo non separa e lamore non conosce confini. Chi legge queste poesie non trova solo il dolore di chi resta, ma anche un invito: quello di credere che lamore sopravvive e trasforma il lutto. Si leggano i seguenti versi:

 

«Lultima volta che ti vidi

i tuoi occhi afflitti fissarono i miei

come preghiera a non lasciarci.

Nel buio della notte

si è perduto il tuo sguardo…»

(Giovanna)

 

La perdita della persona amata — della propria compagna, amica, confidente, anima gemella - è un evento che non lascia solo un vuoto fisico, ma spalanca un abisso interiore, una terra straniera dove ogni passo è incerto, ogni ricordo è al tempo stesso rifugio e ferita memoria viva, e custodisce la promessa di ritrovarsi, un giorno, in un mondo nuovo.

 

« Ci ritroveremo in quel luogo un giorno

in un mondo senza inizio e fine

io e te,

e gli altri che amammo.

Avremo nuove sembianze

sprazzi dun infinito fulgore »

(Ci ritroveremo)

 

Le poesie raccolte in questo volume nascono proprio da lì: da quel silenzio improvviso che segue laddio, da quella solitudine che non è mera assenza, ma presenza muta, fantasma affettuoso che accompagna ogni gesto quotidiano. Pietro Nigro ci guida in un percorso intimo e coraggioso, in cui la parola diventa carezza, grido, preghiera. Ogni verso sembra interrogare il vuoto con dolcezza, come chi sa che lunico modo per non perdersi è continuare a parlare con chi non risponde più, a chiamarla per nome, a darle ancora un posto nel mondo.

 

« Vaga il mio sguardo,

ma non ti trovo.

Invano ripeto il tuo nome

e non rispondi.

Non so se nei miei giorni rimasti

sopporterò il dolore

che trafigge la mia consunta essenza

errabondo in questo deserto

senzoasi,

solo sabbia

che soffoca il mio respiro…»

(Piango la tua assenza)

 

 

Eppure, in questa elegia composta, non vi è disperazione assoluta. Anzi, tra le righe si insinua una luce tenue, che non cancella il dolore ma lo trasfigura: è la speranza. Una speranza che non ha certezze terrene, ma che osa immaginare. Immaginare un tempo oltre il tempo, un luogo in cui gli sguardi si ritrovano, in cui le mani tornano a cercarsi e a stringersi. Una speranza che non nega la morte, ma afferma la potenza dellamore che sopravvive ad essa.

Questa raccolta, dunque, non è solo un atto damore verso chi non cè più, ma anche un dono a chi resta. È un invito a non temere il dolore, ad attraversarlo con sincerità, a lasciare che si trasformi in memoria viva, in presenza sottile. È, in fondo, una dichiarazione: che lamore vero non finisce, ma cambia forma. Che le anime, se nate per camminare insieme, trovano sempre un modo per ricongiungersi — in questa vita, o in quella che ci attende. Leggendo questi versi, ci ritroviamo spettatori di un amore che continua a vibrare tra le parole, e forse, senza accorgercene, impariamo anche noi a riconoscere la presenza nellassenza. A credere, almeno per un istante, che nessun addio sia definitivo.

Lautore ci conduce tra le pieghe del suo lutto con una delicatezza disarmante. I versi non gridano: sussurrano. Ricordano un volto amato, una presenza che ha lasciato tracce ovunque — in un gesto quotidiano, in un oggetto che non sa più a chi appartenere, in una città lontana che ora parla solo la lingua del ricordo. Parigi ritorna più volte tra le pagine, non solo come luogo geografico, ma come simbolo di luce, bellezza condivisa, e di quella gioia serena che ora risplende attraverso il filtro della nostalgia.

 

« Cerco te, Parigi,

sognando lantica collina di Montmartre

che riporta ancora l’eco

d’un’era lontana

di poeti e pittori che la fecero grande

e colmarono le menti

dun incanto infinito »

(Cerco te Parigi)

 

Ma il dolore personale non chiude lautore in un guscio solitario: al contrario, sembra spalancarlo ancora di più verso il mondo. Lassenza lo rende più sensibile alla sofferenza altrui, e così il pensiero corre anche alle tragedie contemporanee, a quelle ferite collettive che ogni giorno lumanità è costretta ad affrontare. I versi accennano con pudore ma fermezza ai bambini di Gaza, a quel dolore innocente che attraversa il nostro tempo come una ferita aperta. Lautore, nel suo lutto privato, riconosce il lutto del mondo, e in questo riconoscimento trova forse un altro modo per rimanere umano: provando empatia, restando aperto, continuando ad amare.

 

« Anche i bambini di Gaza

si sono addormentati per sempre

nel nero grembo del nulla.

A chi volgeranno lo sguardo

e il blando sorriso

le madri affrante »

(Morte nel deserto del Negev e a Gaza)

   

 

Il lettore troverà la speranza, mai imposta, sempre suggerita, che lamore — quello vero, quello che sopravvive ai corpi e ai confini — abbia la forza di ricongiungere ciò che la morte ha separato. Che da qualche parte, oltre il tempo e le lacrime, ci sia ancora un luogo dove riconoscersi, ritrovarsi, rinascere insieme.

Ho conosciuto lautore quando ero ragazzo. Ricordo bene un pomeriggio, a casa sua, accanto a mio padre. In quellincontro, nel calore semplice di una conversazione, ho percepito la profondità di uno spirito gentile, animato da unintelligenza umanistica e da un senso autentico della solidarietà. Un uomo che sa ascoltare, comprendere e condividere. Questa raccolta ne è il riflesso più vero. Unantica amicizia che dura dai tempi del volume Il deserto e il cactus, la prima opera di Pietro Nigro pubblicata da questa Casa editrice nel 1982; era il tempo in cui mio padre Guido, già allora riconosceva lispirazione poetica di un uomo profondamente coerente: la solitudine come luogo di verità, lamore come forza salvifica, e la tenacia dello spirito umano di fronte al dolore.

La presente raccolta è anche un tributo ad unamicizia che dura nel tempo, un filo sottile che lega le generazioni. Unamicizia nata nei libri, grazie a una robusta cultura classica, nutrita da ideali comuni, e oggi più che mai testimone della forza della scrittura come forma di cura e consapevolezza. Il dialogo tra mio padre e lautore continua in queste pagine, e io, oggi, ho lonore di raccoglierne leco e in qualche modo esserne lartefice di questo rinnovato sodalizio umano ancor prima che culturale.

A chi legge auguro di lasciarsi attraversare da questi versi. Di trovare in essi non solo il dolore, ma anche la bellezza di un amore fedele. E la speranza — fragile e ostinata — che, oltre la separazione fisica, vi sia ancora un luogo dove incontrarsi… Verso un nuovo mondo.

E di questo, dobbiamo essere grati a Pietro Nigro.

Di Michele Miano

 

L’autore Pietro Nigro

Pietro Nigro è nato ad Avola (SR) nel 1939 e risiede a Noto (SR); laureato in Lingue e Letterature Straniere all’Università di Catania, ha insegnato inglese presso varie scuole superiori. Ha iniziato a scrivere poesie fin da ragazzo; la sua ispirazione trae origine dai luoghi siciliani della sua infanzia e dagli ambienti francesi e svizzeri visitati durante le vacanze estive, in particolar modo Parigi (la sua città d’elezione), dove si recava spesso per perfezionare la conoscenza della lingua francese. Il primo libro di liriche, Il deserto e il cactus, è stato pubblicato da Guido Miano nel 1982 e gli è valso il 1° Premio assoluto per la poesia edita, Targa “Areopago” (1983, Roma). Sono seguite molte opere poetiche, testi di saggistica e altri lusinghevoli riconoscimenti, tra cui il prestigioso PremioLuigi Pirandelloper la Letteratura (Taormina, 1985) e il PremioLa Pleiade ‘86” «per la produzione letteraria e poetica già riconosciuta a livello critico» (sala del Cenacolo di Montecitorio, Camera dei Deputati, Roma 1986).