"L’odore delle sere / Mireasma serilor" di Lucrezia Lombardo, una geografia dell’invisibile, un respiro ontologico della parola

Recensione del libro polifonico di Lucrezia Lombardo, denso come un erbario alchemico, nella sua edizione bilingue italiano-romeno

C'è una poesia che non si limita a nominare il mondo, ma lo rifonda. Una poesia che non descrive,bensì genera; non si limita ad evocare, ma accade, accadimento essa stessa. In "L’odore delle sere / Mireasma serilor", Lucrezia Lombardo firma un libro polifonico e denso come un erbario alchemico, in cui ogni parola è foglia, ogni verso è radice, ogni immagine una resurrezione di silenzi e verità dimenticate.

Pubblicata in edizione bilingue italiano-romeno con la splendida e fedele traduzione di Eliza Macadan, l’opera si presenta come un poema dell’essere nella sua intima oscillazione tra incarnazione e dissoluzione, tra memoria e smarrimento, tra naturale e sacro. Sin dal titolo, "L’odore delle sere", ci viene offerta una chiave sensoriale, sinestetica, carnale: non è il “canto” delle sere, né la “luce” delle sere, bensì il loro odore, quella soglia olfattiva che ci riporta al grembo dell’infanzia, all’atemporale, al vissuto più corporeo ed indelebile.

In tal senso, la poesia di Lombardo non ha alcunché di ornamentale: è un atto di immersione, di attraversamento. "Si attraversa il mare/con un tocco di pane", scrive l’autrice, condensando in due versi una poetica intera, un'epistemologia dell’umiltà e dell’essenziale. Quel “pane” è metafora della parola, del nutrimento che consente di sostenere l’attraversamento del mistero, della finitudine, del tempo. Il libro si articola come un viaggio per stazioni dell’essere, in una sorta di topografia dell’interiorità, in cui i luoghi della natura, il mare, i campi, le violette, i noccioli, gli sparvieri, i tramonti, non sono semplici paesaggi, ma dispositivi metafisici.

La “Zelkova”, albero raro edancestrale, diviene emblema di ciò che resiste al tempo, testimone silenzioso di un’umanità che ha perduto la sua radice arborea. In “Mezzadria”, la poesia si fa memoria storica e sociale, canto di una civiltà contadina che ha vissuto nell’ordine naturale delle cose, senza domandarsi il senso di un’esistenza apparentemente immobile. Eppure, proprio in questa fissità, in questo tempo ciclico edignaro, si custodisce un sapere profondo, quello dell’aderenza al ritmo cosmico.

Nel testo “Fango”, la natura si presenta nella sua crudezza e nella sua legge primigenia. Il rimando evangelico al canto del gallo ed al rinnegamento di Pietro si intreccia a un dolore quasi arcaico, dove il silenzio dell’erba e l’istinto spietato dettano la loro grammatica antica. Si avverte qui l’eco di una lirica che si fa mistica della materia, dove lo spirituale è inseparabile dall’umido, dal legnoso, dal fermentante.

Uno degli elementi più sorprendenti del libro è la sua tensione aurorale: molte poesie celebrano il principio, l’inizio, la nascita, non in senso biologico, ma ontologico. In “Primitivi”, la gioia è il rumore dei mattini, il risveglio è un atto cosmico, e la morte sembra svanire nella luce fresca dell’alba. Questo sguardo sull’origine, tuttavia, non è mai ingenuo: l’innocenza evocata è sempre consapevole della sua transitorietà, come mostrano i versi di “Erranza”, dove l’ultimo uomo, figura beckettiana e biblica, si aggira tra le rovine della civiltà come un relitto d’anima, ultimo testimone del sogno poetico, ultimo respiro del sacro.

Il corpus poetico di "L’odore delle sereè attraversato da una mitopoiesi laica ed al contempo intensamente spirituale. Le immagini si caricano di simbolismi delicati e potenti: il “tronco vago del passato”, le “stelle che dimenticano i nomi”, “il cielo di pietra blu”, “la pittura fresca sulle persiane”, “i pesci bianchi che intonano requiem d’amore. Ogni metafora è una soglia, ogni figura è un ponte tra visibile einvisibile. C'è in questi versi una sapienza arcaica e femminile, un sapere della terra, della casa, del sangue e della perdita che riecheggia voci antiche.

Un’ulteriore cifra distintiva dell’opera è il suo doppio respiro linguistico. La traduzione romena non è semplice trasposizione, ma eco, risonanza, rifrazione. La lingua italiana, nitida e sussurrata, trova nella versione romena una sorta di controcanto istintivo e tellurico. Si ha l’impressione che le due lingue si guardino e si specchino, ciascuna mostrando all’altra un volto più profondo della stessa parola. Ne scaturisce un ritmo binario, quasi un dialogo tra due sponde della stessa anima.

Non meno significativa è la costruzione compositiva dell’opera: non vi è un ordine narrativo né un’impostazione tematica rigida, ma un fluire associativo, per nessi interiori, reminiscenze, intermittenze dell’essere. È una poesia che non argomenta ma irradia, non procede ma pulsa. Il lettore non “comprende” ma abita, non “segue” ma respira. "L’odore delle sere / Mireasma serilor" è molto più di una raccolta poetica: è un organismo vivente, un canto che si fa carne e linfa, una confessione impalpabile ed insieme terrena, una meditazione sulla soglia, sull’attesa, sull’inesprimibile.

Lucrezia Lombardo si conferma una voce originale e necessaria nel panorama contemporaneo, capace di intessere filosofia e tenerezza, luce e abisso, canto e rovina. È un libro da leggere come si ascolta una conchiglia: mettendola all’orecchio del cuore, per sentire il mare perduto dell’infanzia e il tempo eterno che ancora, silenziosamente, ci attraversa.

Di Giusy Capone