Valery Gergiev alla Reggia di Caserta, un’occasione persa per la democrazia culturale: chi siamo noi per giudicare un pensiero personale?

Ma la domanda fondamentale è: che cosa chiediamo davvero a un artista? La sua adesione politica o la sua arte? Se iniziamo a filtrare la cultura in base alla correttezza ideologica, ci allontaniamo dai valori stessi della democrazia. La storia ci ha già mostrato dove porta il controllo del pensiero: non all’unità, ma all’intolleranza

La recente polemica intorno alla presenza del direttore d’orchestra Valery Gergiev alla Reggia di Caserta (presenza che poi non ci sarà, dal momento che il concerto è stato cancellato) è un triste esempio di quanto la nostra società sembri sempre più incline alla censura preventiva, anche in ambito artistico. In un’epoca che dovrebbe essere segnata dalla libertà di espressione e dalla distinzione tra vita privata e contributo pubblico, risulta anacronistico – se non paradossale – che nel 2025 si continui a giudicare un artista non per ciò che crea, ma per le sue presunte o reali posizioni politiche.

Gergiev è indubbiamente un musicista di fama mondiale, con un curriculum che parla da sé. Eppure, la sua carriera internazionale è stata compromessa da quella che appare sempre più come una caccia ideologica: non tanto una critica ragionata, quanto una demonizzazione automatica in nome di un presunto dovere morale.

Ma la domanda fondamentale è: che cosa chiediamo davvero a un artista? La sua adesione politica o la sua arte? Se iniziamo a filtrare la cultura in base alla correttezza ideologica, ci allontaniamo dai valori stessi della democrazia. La storia ci ha già mostrato dove porta il controllo del pensiero: non all’unità, ma all’intolleranza.

Ancor più problematico è il modo in cui si affronta il conflitto russo-ucraino nel dibattito pubblico. Invece di favorire il dialogo e la comprensione, si alimenta un odio cieco verso tutto ciò che è russo, come se un intero popolo potesse essere ridotto a un'unica narrativa. Questo atteggiamento, oltre a essere intellettualmente disonesto, rischia di compromettere la stessa causa che si intende difendere.

Se vogliamo davvero promuovere la pace e la giustizia, dobbiamo iniziare a separare l’opera dall’autore, il pensiero dall’arte, la politica dalla cultura. Censurare Gergiev non ci rende migliori: ci rende solo più chiusi, più diffidenti, più poveri spiritualmente.

Di Stefano Duranti Poccetti