Sparatoria in panetteria a Milano, si indaga anche sul figlio del gestore del negozio, il delitto dopo una lite per motivi banali

Nel corso della sparatoria è rimasto gravemente ferito anche un 26enne ucraino Pavel Kioresko. Anche lui è stato raggiunto da dei colpi di pistola ma non è in pericolo di vita

Svolta in merito al caso della sparatoria in panetteria a Milano in piazzale Gambara. Si indaga anche sul ruolo del figlio del gestore del negozio. Anche lui sarebbe in qualche modo coinvolto nell'omicidio del 49enne ucraino Ivan Disar, ucciso a colpi di pistola lo scorso sabato pomeriggio. Per gli investigatori, all'origine del delitto ci sarebbe una lite per motivi banali. Nel corso della sparatoria è rimasto gravemente ferito anche un 26enne ucraino Pavel Kioresko. Anche lui è stato raggiunto da dei colpi di pistola ma non è in pericolo di vita.

Sparatoria in panetteria a Milano, si indaga anche sul figlio del gestore del negozio

Proseguono le indagini sulla morte di Ivan Disar, il 49enne ucraino ucciso a colpi di pistola in una panetteria di piazza Gambara a Milano nel tardo pomeriggio di sabato. La polizia sta continuando a dare la caccia al killer e a cercare il figlio del fornaio per chiarire la sua posizione, irreperibile fino a questo momento. Il 22enne si trovava all'interno dell'attività al momento degli spari.

Quando è scoppiata la lite, all'interno della panetteria-pasticceria si trovava anche un'amica dei due ucraini, che però è rimasta illesa. L'uomo avrebbe impugnato una pistola calibro 38 e avrebbe sparato indistintamente ai due ucraini. 4 i colpi in totale. Ad avere la peggio è stato il 49enne ucraino Ivan Disar, vale a dire il principale bersaglio. Quest'ultimo è stato raggiunto all'addome dagli spari. Il 26enne che era con lui non è in pericolo di vita. Potrebbe esser stato colpito per impedirgli di reagire.

Motivi banali dietro la tragedia: è possibile che ci sia stata una lite improvvisa o rancori personali, scatenati da una parola di troppo. Una testimone chiave, una moldava di 48 anni che si trovava nel locale, ha fornito una descrizione dettagliata dell’aggressore, permettendo agli investigatori di ricostruire un identikit e abbinarlo a un nome.