Bari, arriva la prof. "Recchia" col dottorato in "Gender Studies", grammatica fluida e tanti asterischi per formare "espert*" del futuro
Un corso dell'Università di Bari coordinato persino dalla prof. "Recchia" Luciani, figura di spicco della cultura femminista italiana, ma serve davvero un dottorato le tematiche di genere?
All’Università di Bari Aldo Moro è stato lanciato il primo Dottorato Nazionale in Gender Studies, un programma che si propone di formare figure specializzate "nell’analisi dei meccanismi attraverso i quali le relazioni di genere riflettono e strutturano asimmetrie di potere". Il progetto, descritto con un linguaggio tanto inclusivo quanto discutibile per la grammatica italiana (espert*, identit* e via dicendo), non manca di attirare l’attenzione per il suo approccio.
Il percorso tocca temi che spaziano dagli studi femministi e queer a quelli "sulla maschilità", sulla disabilità e sulle intersezioni tra genere, razza, classe sociale e altre identità. Un dottorato che promette di approfondire come "asimmetrie di potere" e "forme multiple di dominio" influenzino le identità sociali. Insomma, un menu ricco per chi ama il linguaggio accademico pieno di formule complesse.
Il dottorato è coordinato da Francesca R. Recchia Luciani, docente di filosofia e figura centrale negli studi femministi e queer in Italia. Ideatrice del Festival delle donne e dei saperi di genere, Recchia Luciani ha alle spalle una vasta produzione accademica, ma anche una spiccata capacità di polarizzare opinioni. Il suo curriculum parla di impegno e visione, ma non tutti sembrano pronti ad abbracciare un progetto che, nel tentativo di superare i confini accademici tradizionali, rischia di restare una nicchia autoreferenziale e non propensa al dialogo con chi la pensa diversamente, come spesso accade all'estero.
Dottorato in Gender Studies a Bari, rischi di autoreferenzialità
Il programma mira a formare specialisti capaci di progettare ambienti inclusivi e di combattere discriminazioni e violenze. Obiettivi nobili, certo, ma che sollevano domande: è davvero il linguaggio infarcito di asterischi il miglior strumento per promuovere l’inclusione? O c'è il rischio che questa scelta comunicativa allontani chiunque non sia già convinto della causa? Un fenomeno che potrebbe portare ai già citati rischi di autoreferenzialità e mancanza di dialogo.
Anche il focus fortemente interdisciplinare, che unisce discipline umanistiche, giuridiche, economiche e tecnologiche, sebbene interessante, potrebbe sfociare in una dispersione di contenuti. Il rischio? Creare un percorso accademico che soddisfi più il bisogno di legittimazione di certi studi che reali necessità professionali.
L’iniziativa dell’Università di Bari rappresenta senza dubbio una novità nel panorama accademico italiano, con un obiettivo chiaro: formare professionisti capaci di leggere e trasformare le dinamiche di potere che attraversano la società. Ma il dottorato riesce davvero a promuovere inclusività, o rischia di diventare l’ennesimo caso in cui il linguaggio eccessivamente accademico (e gli asterischi di troppo) creano distanza anziché ponti?