Caso Cecilia Sala, ex 007 Mancini: “Governo non l’ha informata del rischio dopo l’arresto dell’iraniano, e gli Usa non hanno avvisato i servizi italiani”
L'ex agente segreto contro Farnesina e Palazzo Chigi. Secondo Mancini è possibile che in America in pochi si fidino dei nostri servizi di intelligence: "Dopo il caso Artem Uss… Quel caso ha mostrato la debolezza del sistema di sicurezza italiano"
Anche l'ex 007 Marco Mancini si è espresso sul caso Cecilia Sala. L'ex agente segreto ne ha per tutti, per il governo italiano e per gli Usa: "L’ingegnere iraniano Mohammad Abedini Najafabadi aveva un volo Teheran-Malpensa con scalo in Turchia. Quando lui arriva alle 18 del lunedì 16 dicembre, è già atteso dalla polizia italiana. Che lo arresta seduta stante. Sapevano che stava arrivando, gli americani avevano chiesto il mandato di arresto con tre capi di imputazione precisi: associazione per delinquere, fornitura e supporto di materiale per organizzazioni terroristiche".
Caso Cecilia Sala, ex 007 Mancini: “Governo non l’ha informata del rischio dopo l’arresto dell’iraniano"
Mancini continua: "Si doveva poter accertare, in Italia e in Svizzera, tutti i contatti che aveva quest’uomo. E puntare a smantellare la rete, più che a fermare soltanto lui". Per diversi motivi, "ma una su tutte: la nostra connazionale Cecilia Sala aveva già svolto attività a favore delle donne iraniane, si era già esposta. Era attenzionata dai pasdaràn, lo dico per esperienza: era certamente già un target", spiega Mancini.
"Quando ha chiesto il visto di ingresso come giornalista, la richiesta di visto è andata direttamente alla sezione dei pasdaràn che controllano chi lavora contro il governo iraniano. In quella sede nascono tutti gli arresti-sequestri del regime".
"Abedini Najafabadi viene arrestato il 16, lei il 19. In quei due giorni – in cui lei è diventata un target non più solo potenziale, ma probabile – nessuno è riuscito ad evacuarla, a indirizzarla verso un aeroporto sicuro? Bisognava farle raggiungere Baghdad o la Turchia, anche con un volo privato", sostiene. "Si poteva fare in due ore. Che non sia stato fatto in due giorni è gravissimo. È mancata la prevenzione. E se gli americani – come pare – non hanno avvisato i servizi italiani, ma solo la polizia, è un’altra cosa molto rilevante. Si fidano ancora di noi?", è la domanda legittima che si fa Mancini.
È possibile che in America in pochi si fidino dei nostri servizi di intelligence. "Dopo il caso Artem Uss… Quel caso ha mostrato la debolezza del sistema di sicurezza italiano". Mancini torna sull'arresto di Cecilia Sala: "In quei due o tre giorni tra l’arresto di Nafajabadi e quello di Cecilia Sala, noi dovevamo metterla in condizioni di mettersi in salvo. E poi perché è venuta fuori così, subito, la notizia dell’arresto dell’iraniano alla Malpensa? Doveva essere fatta un’operazione diversa, seguirlo quando usciva dall’aeroporto e vedere, ad esempio, chi incontrava".
Adesso a Teheran "stanno costruendo le prove d’accusa contro Ceclia. E le prove d’accusa le costruiranno in base a quello che succederà con la decisione della Corte d’Appello di Milano sulla richiesta di estradizione americana. Ma la scelta di estradare o di lasciare libero l’iraniano è una decisione politica che spetta al ministro Nordio".