Genova, assunzioni fittizie in società nel porto, così gli eredi di Riina mettevano le mani sulle banchine

Le indagini della Procura dopo l’informativa della Dia: il clan Lo Piccolo si stava infiltrando nelle aziende di proprietà dell’imprenditore Silvano

Cosa Nostra controllava anche società genovesi e si stava infiltrando con forza nel tessuto economico e sociale di Genova. A rivelarlo è una dettagliata informativa che la Direzione Investigativa Antimafia della Liguria ha inviato in Procura all’inizio del 2024. In cui si racconta come i tentacoli del clan Lo Piccolo siano sbarcati all’ombra della Lanterna già nel 2019. Il clan Lo Piccolo è una delle principali cosche della mafia palermitana. Controlla il quartiere di San Lorenzo-Tommaso Natale ed è considerato a tutti gli effetti il mandamento che ha ereditato il potere dopo l’arresto del capo dei capi Totò Riina. Ma non solo. Ha stretto in passato un’alleanza con il boss dei boss Matteo Messina Denaro. E dopo aver preso la provincia Sicilia cercava di espandersi anche in Liguria e in particolare nel porto di Genova. Non è un caso che il capo di questo mandamento, Calogero Lo Piccolo - figlio di Salvatore, conosciuto nei vicoli palermitani come “Totuccio il Barone”- avesse in progetto di controllare la società genovese Due Esse, entrando nell’azienda come dipendente e facendo assumere suoi sodali.

La Due Esse è una società di logistica portuale che fa capo a Gabriele Silvano, l’imprenditore genovese di Serra Riccò arrestato con altre sei persone dall’Antimafia lo scorso 26 novembre, con l’accusa di aver agevolato l’infiltrazione di Cosa Nostra a Genova. Silvano, secondo quanto ricostruito dai detective diretti dal colonnello Maurizio Panzironi avrebbe trattato l’assunzione del boss palermitano che, viene indicato nell’informativa dell’Antimafia, «sedeva nei posti più importanti della commissione provinciale di Cosa Nostra». Silvano avrebbe incontrato più volte Calogero Lo Piccolo per questo contratto di assunzione. A supporto di questa tesi ci sono anche i frequenti viaggi che Silvano - difeso dagli avvocati Alessandro Vaccaro e Nicolò Scodnik - faceva nel carcere di Opera per andare a trovare proprio il boss Calogero Lo Piccolo, nel frattempo arresto nell’ambito di una maxi retata della Procura di Palermo.

Per gli inquirenti i viaggi di Silvano a trovare il capo del mandamento sono una dimostrazione di come l’imprenditore genovese si fosse infiltrato in Cosa Nostra. E per conto della mafia è anche accertato stesse cercando di mettere in piedi un progetto di narcotraffico internazionale che vedeva il porto di Genova come crocevia. La mafia voleva contrastare l’egemonia della ’ndrangheta che da anni controlla l’arrivo di ingenti quantitativi di cocaina nello scalo ligure. Per scalzare le cosche calabresi i Lo Piccolo, tramite Silvano, avevano anche stretto un’alleanza con il cartello colombiano di Cali e potevano contare su una rete di agenti e poliziotti infedeli ma anche avvocati assoldati per fiancheggiarli. E ancora sul supporto della mafia cinese che tramite il sistema bancario clandestino della “hawala” muoveva illecitamente milioni di euro per pagare le partite di droga.

Ma le attenzioni degli inquirenti sono anche concentrate su un vecchio omicidio di mafia avvenuto a Genova nell’ottobre del 1990 all’interno del ristorante “La Buca di San Matteo”. In quell’occasione venne ucciso Gaetano Gardini, criminale vicino a Cosa Nostra, freddato per una lite legata alle scommesse clandestine del Totonero. I killer di Gardini - almeno due oltre ai fiancheggiatori - non sono mai stati presi. E in una intercettazione telefonica Silvano, nonostante all’epoca dei fatti avesse appena 18 anni, si attribuisce, parlando con un amico, l’omicidio di mafia. «Mi hanno incaricato di ammazzarlo per una lite sulle scommesse». Silvano svela anche il nome della cosca che ordinò l’omicidio: «Furono i Fiandaca», spiega.