Genova, moglie del boss dei surgelati non si dissocia dal marito, il giudice la tiene ancora in carcere
La difesa di Anna Bruno dopo l'interrogatorio aveva chiesto i domiciliari, ma le sue risposte non hanno convinto il magistrato. La Dda continua a indagare sugli affari di Vetrano
"Non si è dissociata e non ha preso le distanze dall’attività illecita del marito". Per il giudice Alberto Lippini, Anna Bruno deve restare in carcere. La figlia del boss Pietro Bruno, storico capo mandamento di Isola delle Femmine e braccio destro di Totò Riina e Bernando Provenzano, ma anche moglie di Salvatore Vetrano, il manager nel settore dei surgelati che ha frodato milioni di euro al Fisco per conto di cosa nostra, è stata interrogata nei giorni scorsi in tribunale. Al termine il magistrato ha respinto le richieste dell’avvocato difensore di Bruno, Laura Razeto, che aveva chiesto per la sua assistita la scarcerazione e, in subordine, anche gli arresti domiciliari dichiarandosi disponibile ad indossare il braccialetto elettronico. Bruno, estradata insieme al marito nelle scorse settimane dal carcere da Vigo in Spagna, ora si trova nella casa circondariale di Pontedecimo.
Nell’ambito dell’interrogatorio di garanzia ha parlato per più di un’ora, precisando di «non essere mai stata una prestanome del marito». «Nella nostra azienda - ha ribadito Anna Bruno al giudice - avevo un ruolo operativo non ero certo una testa di legno. E soprattutto ogni nostra attività è stata fatta alla luce del sole». Dichiarazioni, però, che non hanno convinto il magistrato a farla uscire dal carcere. La prossima settimana davanti al giudice comparirà il marito Salvatore Vetrano. Si tratta, secondo gli inquirenti, di un esponente di spicco di cosa nostra ed è stato per anni il socio occulto di Giuseppe Riina, il figlio del “Capo dei capi” ed è stato già colpito a Palermo da un maxi sequestro per oltre venti milioni di euro. Resta in carcere anche il socio genovese di Vetrano, Mauro Castellani, imprenditore di 53 anni. Tutti e tre sono accusati di una maxi-frode finanziaria. A parere dell’accusa, con un più che articolato sistema di fatture fasulle e triangolazioni societarie internazionali, avrebbero sottratto almeno 3 milioni di Iva, compiendo operazioni sospette per un potenziale imponibile di 32 milioni. Secondo il pm antimafia Federico Manotti, però, il gruppo era foraggiato dalle cosche di Capaci-Isola delle Femmine. Vetrano e Bruno erano stati bloccati a Vigo, in Spagna, uno dei luoghi dove dimoravano abitualmente oltre al capoluogo ligure. E a Genova, e in particolare alla Foce, risiede uno dei figli, allo stato a piede libero ancorché sottoposto ad accertamenti. Agli arresti domiciliari erano finiti invece Giuseppe Licata, 55 anni, e Sebastiana Germano, 47 anni, ritenuti collaboratori fondamentali dei tre principali inquisiti.