Morì in canoa alla foce dell'Entella, undici le persone indagate, sotto accusa la catena dei soccorsi

La Procura ha chiuso le indagini ipotizzando l'omicidio colposo per nove pompieri e i due istruttori che accompagnavano il quattordicenne Andrea Demattei

Sono undici gli indagati per la morte del giovane Andrea Demattei, il quattordicenne rimasto incastrato con la canoa sotto un ponte del fiume Entella a Chiavari mentre si allenava insieme ad altri tre compagni e deceduto quattro giorni dopo per le conseguenze dell’ipotermia all’ospedale Gaslini di Genova. A oltre un anno dalla tragedia il sostituto procuratore Francesco Cardona ha chiuso le indagini.  Fra gli accusati di omicidio colposo, che hanno ricevuto l’avviso conclusione delle indagini preliminari, ci sono i due istruttori che erano con Andrea quel gelido pomeriggio di gennaio e decisero di far risalire agli allievi della Shock Waves Sport di Sestri Levante la foce del fiume Entella, nonostante la forte corrente e la presenza di un grosso tronco sotto una delle campate. Uno degli istruttori aveva anche mostrato alla vittima come manovrare in sicurezza per evitare il tronco, ma il giovanissimo canoista è rimasto incastrato. Uno di loro è rimasto oltre mezz’ora accanto al ragazzo per evitare che finisse sott’acqua.

Ma a essere sotto accusa è soprattutto la catena dei soccorsi che, secondo la Procura, come avevano denunciato fin dall’inizio i familiari del ragazzo, non ha funzionato. “Intervento in ritardo” e “manovre di salvataggio scorrette” scrive  il pm Cardona. Per la Procura nessuna fase di quell’intervento è stata gestita correttamente. A ricevere l’avviso di conclusione delle indagini preliminari sono stati nove vigili del fuoco, molti di più rispetto ai quattro inizialmente indagati. Il pm per comprendere in dettaglio il funzionamento della macchina del soccorso aveva disposto una consulenza tecnica durata diversi mesi. Per questo sono finiti sotto accusa due vigili del fuoco della centrale operativa di Genova, quattro di Chiavari tra cui il caposquadra, due sommozzatori e anche un caposquadra del nucleo Saf, il soccorso speleofluviale.

Per la procura i vigili della centrale operativa avrebbero fin da subito dovuto inviare oltre ai sommozzatori, che comunque erano solo due (troppo pochi secondo l’accusa) anche gli specialisti del salvataggio in acque fluviali (il Saf) il cui responsabile tuttavia, essendo presente in sala operativa al momento della chiamata d’emergenza avrebbe dovuto comunque decidere in autonomia di intervenire sul posto immediatamente.