Genova, indagini sul boss amico di Totò Riina, in casa nascondeva un tesoro in banconote da 50 euro
I soldi, oltre centomila euro, sono stati trovati dalla guardia di finanza in un sottofondo del salotto. Perquisizione scattata dopo un'indagine su una frode fiscale
Il tesoro del super boss di Cosa Nostra, braccio destra di Totò Riina e Bernando Provenzano, era nascosto in un sottofondo ricavato nel salotto della sua casa di viale Brigate Partigiane, a Genova. Centoventimila euro in tagli di banconote da 50 euro che sono stati trovati e sequestrati dai detective del nucleo di polizia economica della guardia di Finanza. Una perquisizione che ha portato all’apertura di una nuova e delicata inchiesta che certifica sempre più la presenza della mafia all’ombra della Lanterna. Il fascicolo è in mano al pubblico ministero dell’Antimafia Federico Manotti, lo stesso che ha coordinato la maxi inchiesta della Finanza sulla frode milionaria al fisco orchestrata da Cosa Nostra nel settore del pesce surgelato, e che ha portato giovedì scorso all’arresto di cinque persone tra Genova, Spagna e Palermo tra cui Salvatore Vetrano, genero di Bruno, e al sequestro di un’ingente somma di denaro.
Pietro Bruno, 78 anni, scelto personalmente da Totò Riina all’inizio degli anni Novanta come capo della consorteria di Isola delle Femmine e Capaci, condannato due volte per associazione di stampo mafioso, fino ad ora era rimasto fuori da questa inchiesta. Ma è invece finito al centro del nuovo fascicolo in mano all’Antimafia della Procura di Genova. A Bruno - alla luce del ritrovamento di una maxi somma di denaro ingiustificata - la Procura contesta il reato di ricettazione aggravata «dall’aver agevolato Cosa Nostra». L’indagine è solo all’inizio. Ma gli inquirenti hanno le idee chiare sui possibili sviluppi investigativi. L’ipotesi a cui si lavora è che quella somma trovata nascosta nell’abitazione del boss - che dopo essere stato scarcerato dal carcere di Marassi, dove aveva finito di scontare la sua pena, aveva scelto di trasferirsi a vivere a Genova - possa essere una sorta di vitalizio che l’organizzazione criminale pagava a Bruno. «La mesata - spiega un investigatore del segue il caso - è la somma di denaro che ogni mese la mafia mette a disposizione dei sodali dell’organizzazione o delle famiglie dei picciotti che si trovano in carcere». E non è un caso che nelle intercettazioni dell’inchiesta agli atti il nome di Bruno compaia come destinatario di almeno quattro buste di denaro. Soldi che Vetrano, tramite il socio genovese Mauro Castellani, gli aveva fatto recapitare a più riprese nei mesi scorsi nell’abitazione della Foce. Somme che secondo gli investigatori, diretti dal generale Andrea Fiducia, transitavano da Cosa Nostra a Bruno attraverso il raggiro dei surgelati. Ovviamente sono in corso accertamenti su questo aspetto.
Secondo gli investigatori ci sarebbe una correlazione tra le quattro buste e il denaro sequestrato nell’abitazione di Bruno Pietro. Nelle telefonate Vetrano, per sviare le indagini, chiamava quelle buste «pacchetti di Amazon» o anche «medicinali urgenti da portare al genero». In più è emerso che Vetrano, oltre a essere genero di Bruno, sarebbe in affari anche con Nicola Mandalà, esponente di spicco di Cosa Nostra e storico fiancheggiatore del sanguinario boss Bernardo Provenzano, arrestato dopo 43 anni di latitanza e riconosciuto colpevole di almeno dodici omicidi. Mandalà, secondo il racconto dei pentiti, ha curato personalmente la latitanza di Provenzano, e passava nel suo bunker tre giorni alla settimana per ritirare i pizzini che il boss scriveva.