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Benedetto Croce «Il Giornale d'Italia» (10 agosto 1943)

La Marcia su Roma, storia di una genesi del potere moderno

In quella Marcia su Roma Mussolini non poteva realizzare che stava per provocare una mutazione genetica nel neonato DNA istituzionale italiano, destinata a condannare e a definire i contorni di uno Stato che ancora oggi non riesce a liberarsi del suo nome.

28 Ottobre 2025

La Marcia su Roma, storia di una genesi del potere moderno
La Marcia su Roma fu il culmine del fascismo ideologico e solo dopo quest'ultima si diede avvio all'altro volto del suo movimento, più trattato.
La fine della Prima Guerra Mondiale aveva lasciato un'Italia abbattuta e vulnerabile, esposta terribilmente al rischio di una "rivoluzione d'ottobre" che guardava arcignamente alle condizioni nazionali precarie e alla crisi dei governi liberali, incerti e poco capaci di gestire gli animi dell'epoca.
Nel frattempo casa Savoia era sostanzialmente una monarchia giovane, a capo di una Nazione dove si parlava dialetto e l’idea d’Italia, sebbene avesse cominciato a scalpitare dalla sanguinosa Grande Guerra, era ancora poco realizzata in ambito istituzionale.
Ricordiamo sommessamente che la stessa Unità non aveva convinto tutti e fu percepita dalla popolazione come un semplice dato di fatto, raccolta principalmente da una borghesia convinta di certi ideali nazionalpopolari, come spesso accade con le rivoluzioni.
Nel bel mezzo di questo calderone Benito Mussolini si erse come una figura attraente, osteggiata a livello di popolarità soltanto da Gabriele D’Annunzio, il pescarese più patriota di tutti e senza alcun dubbio migliore dell’altro e per questo motivo invidiato, “il dente cariato da ricoprire d’oro”.
Mussolini dirà: «Molta gente spasima per non poter andare a Fiume, ma io mi domando: non c’è più nessuno che conosca la strada di Roma?». Perché mentre D’Annunzio ansimava per un orgoglio italico di stampo prettamente intellettuale, Mussolini ambiva al potere nella sua essenza più autentica.
Ambizioso, impulsivo e di umilissime origini, aveva subito lo snobismo della classe dirigente liberale dell’epoca, coltivandone un disprezzo reciproco, ma aveva compreso che probabilmente l’era del liberalismo stava abbracciando il suo tramonto, e il conflitto bellico aveva reso definitiva questa resa.
Da qui, Monarchia Savoia reagisce d'impeto, il governo sibilla ma non è capace di mettere insieme i suoi pezzi, le paure dell'ombra socialista bussano alle spalle di chiunque voglia mantenere lo status quo e Mussolini diventa il rivoluzionario persino auspicato, il gattopardo che cambia tutto ma potrebbe tenere tutto così com'è.
E la Marcia su Roma avviene. Potrebbe essere fermata e l’ascesa ammazzata nella culla.
Ma avviene, perché doveva accadere, e quei pezzi s’incastrano nell’armonia di un puzzle atteso.
Possiamo, come al solito, comprendere la storia soltanto guardandola da dietro; non avrebbe mai senso altrimenti.
L’ex post è un lavoro meravigliosamente facile, il futuro è per gli indovini, e sono tutti dei truffatori.
Ma in quella Marcia su Roma Mussolini non poteva realizzare che stava per causare una mutazione genetica del neonato DNA italiano istituzionale, che avrebbe condannato e definito i contorni di uno Stato il quale ancora oggi non riesce a liberarsi del suo nome.

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