03 Aprile 2025
Se dico che da malato post oncologico mi sento stanco e temo di non farcela, vengo immediatamente investito da un'onda di lettori che non si rassegnano al posto mio, non ammettono la mia disperazione o se si vuole la mia voglia di arrendermi. Sempre meglio di quella che mi ha mandato a dire che io mento, che mi sono inventato tutto “perché chi sta davvero allo stremo non esce a cena”, comunque un po' eccessivi anche questi che mi consigliano i rimedi più spericolati e finanche esoterici, ultimamente va di moda la cura Di Bella che magari non sarà esoterica ma di farmela prescrivere da medici social non me la sento. Poi non è questione di cure ma di come uno riesce o non riesce a riprendersi e qui entra in gioco la testa: la fine, contrariamente a quello che si pensa, non è determinata tanto dal logorio organico quanto dalla mente o se preferite dallo spirito che a un certo punto decide che la faccenda è andata troppo oltre e allora dice basta. Basta continuare a soffrire, a illudersi di un futuro che non c'è più, fatto di biopsie, di taglia e cuci, di ambulatori e attese snervanti per un altro verdetto. Ma i lettori mi vogliono bene in modi alle volte invadenti e dicono: no, tu non puoi mollare, tu sei un guerriero. Quale guerriero! Questi lettori, positivisti inconsapevoli, sono figli di un secolo che anche lui non c'è più, il secolo delle distruzioni immani ma mai definitive, il secolo delle rinascite impensabili, delle ricostruzioni affidate ai miracoli della scienza e della tecnologia. Si dicono credenti questi lettori, a grande maggioranza perché il cristianesimo volere volare fa parte di noi, una parte inevitabile come diceva Croce, ma non accettano l'idea della fine, per loro Dio c'è ed è provvidente, pronto sempre a intervenire, a risolvere, non per tutti ma per te certamente, per loro stessi certamente, un Dio positivista che ha inventato la cura Di Bella proprio per te. Io invece penso, e lo penso in modo sempre più convinto dopo questi anni decomposti, che non c'è ragione di attendere un lieto fine. Non tanto per me quanto per il genere umano che, osservava Giorgio Bocca nell'ultima stagione, forse se la caverà ma indubbiamente è portato, è proiettato verso l'autodistruzione.
Chi inventa la barca inventa il naufragio, la tecnologia fa vivere meglio e fa morire meglio: è il grande dilemma, la grande contraddizione biblica della dannazione seguita alla curiosità: Dio tenta, in modo malizioso, gli unici inquilini dell'Eden e lo sa che non potranno resistere se gli fa trovare proprio al centro l'albero della conoscenza, detto “del bene e del male”, i cui frutti vieta loro di mangiare; ma Eva, che è donna, la prima donna, si lascia tentare dal serpente e ne prende e ne offre all'uomo Adamo che essendo uomo è coglione e succube: il loro destino, e di tutti gli umani per l'eternità, è compiuto, a catena: non si salvano, non ci salviamo siccome una donna si è lasciata sedurre nella notte dei tempi. Frank Zappa, che era un genio, irrideva questo racconto e ragionava propro come il serpente: Dio non vuole che gli uomini sappiano, che si emancipino, se osano lui li maledice, li distrugge e allora come può essere buono se proibisce il progresso? Ma anche lui non poteva nascondersi che il progresso è fatto di niente, di ombre pesanti, è fatto di diavoli. Forse perché, come nella storia altri hanno saggiamente osservato, la conoscenza a lungo andare porta la bomba atomica, porta lo sterminio di massa, l'abominio: l'IBM sviluppa i primi metodi informatici coi quali Hitler può organizzare l'Olocausto. Dove sta il confine tra bene e male, tra necessità di scoprire e necessità di fermarsi, di non insistere? Fin quando è lecito disattendere Dio? A questo neppure la Chiesa ha saputo dare, mi pare, una risposta precisa e tanto meno i suoi santi e i suoi filosofi, forse una risposta definitiva non esiste e la dannazione della storia sta in quella oscillazione fra ybris e umiltà, cedimento e resistenza alla tentazione, trasgressione e obbedienza.
Di certo c'è che l'uomo non si stanca - non può, non è nella sua natura - di apprendere, di creare e con questo si illude di vivere sempre meglio mentre muore sempre meglio. L'informatica doveva risolvere gran parte dei nostri problemi e ha finito per moltiplicarli, le generazioni giovani sono primitive di ritorno, sanno operare sugli strumenti tecnologici ma al prezzo di non sapere decifrare un testo scritto di complessità elementare, sono analfabeti nati e cresciuti. Viviamo il triplo che nel Medio Evo ma le nostre lunghe vite sono più infelici, più disperate e decidiamo di troncarle perché non riusciamo a sostenerle. I nostri sogni sono drogati, sono vuoti e ci gettiamo a consumare sempre di più perché così ci ordinano, perché non resta molto altro da fare. E anche con le cose ci ammazziamo. Inventano le auto elettriche e quelle esplodono sotto il culo. Fanno quelle che vanno da sole ma subito si sfasciano contro un muro, un vetro che i sofisticatissimi sistemi automatici non hanno saputo identificare. L'intelligenza artificiale doveva anche lei rivoluzionare utilizzi e abitudini, se ne temono le derive, l'impatto sulla mente e sulla coscienza, ma i suoi inventori constatano disperati l'uso ludico o pornografico degli utilizzatori più evoluti, per così dire. Già, c'è anche la questione dell'assimilazione, la tecnologia è troppo sofisticata e si rinnova in tempi troppo stretti, uno non fa in tempo ad impadronirsene, per quanto ad un livello rudimentale, che già viene travolto da innovazioni ancora più complicate e deve ricominciare da capo; dalle infinite possibilità di una tecnologia sempre più onnipotente l'uomo bestione cava il minimo opportunistico e utilitaristico, un minimo becero, sconfortante. La pena di correre dietro a questa tecnologia forsennata origina uno stress continuo che si traduce in depressione intesa come la consapevolezza di non avere più posto nel mondo e nel tempo, di abitare una fase storica impalpabile ma ostile, che ti respinge, ti emargina. Che ne sanno i giovani delle gioie della cultura, dell'eccitazione di una scoperta e di saper mettere in relazione periodi, eventi, epifanie, correnti artistiche, di ricostruire l'immenso stupendo tessuto della civiltà? Guardavo l'estate scorsa i ragazzini al mare, allo stabilimento dove scendiamo ogni anno, e ne avevo un brivido: in tre mesi, mai visti fare un bagno, una camminata sulla riva, una lettura al sole, sempre inchiodati ai tavoli del bar, in branco tra nuvole di fumo, drink e videogiochi; le femmine ipersessuate, i maschi come evirati e chiaramente dominati. Ho provato ad ascoltare i loro dialoghi ma non mi è riuscito, sentivo solo frasi mozze, belluine, l'unica cosa chiara erano le bestemmie come intercalare, particolarmente dalle ragazzine. Avevano certe movenze scimmiesche, preumane, ogni tanto uno o una mandavano un grido, un verso e allora anche gli altri si mettevano a urlare. Io sgomento pensavo: questi qui, quando divento vecchio, mi fanno fuori senza complimenti. E mi sentivo salire come una furia, la rabbia della paura, mi sentivo cane davanti alla minaccia, fatevi sotto, bastardi, mi avrete ma venderò cara la pelle.
È conoscenza, questa? Non direi, piuttosto una regressione sparata dritta verso l'autodistruzione. Anche coi vaccini si pensava, si pretendeva di escogitare chissà quali rimedi per chissà quali pesti coltivate in laboratorio, ma si è ottenuta solo la strage globale, le cui proporzioni neppur lontanamente siamo prossimi a calcolare dopo 4 anni. Chi inventa la barca inventa anche il naufragio, chi inventa il contagio inventa anche l'antidoto che però contagia di più, senza riguardo per le certezze di Draghi e Burioni. Nella regressione di massa mettiamoci pure l'informazione rinnegata, degenerata in comunicazione ad esclusivo ed entusiasta servizio del potere. In questi anni abbiamo letto e sentito le cose più indecenti per sostenere ciò che ci infettava, ci uccideva. Ogni tanto mi invitano a qualche convegno, meglio se “da remoto” così quelli che li organizzano possono togliemi la parola appena mi metto a denunciare i crimini della politica e della democrazia involuta, repressiva: anche questi oscillano, sanno che l'albero del bene e del male è più male, che la conoscenza è del peggio come peggiore di sempre è il potere che fortissimamente cercano; denunciano “il sistema” ma non vedono l'ora di entrarci, non importa per quale pertugio o orifizio. A me propongono le bacche, le vibrazioni, le cure mistiche, tutto tranne le chemio che sono ordite dal sistema, da big pharma per farmi morire, e mi dicono: non puoi mollare, non puoi arrenderti, sei un guerriero. Ma chi ci passa non si sente per niente guerriero. In questi giorni tiene banco la drammatica condizione di Sgarbi che dicono ridotto una larva, da non credere, proprio lui improvvisamente prosciugato di quel vitalismo dannunziano che lo ha sempre agitato. Lo ho incontrato diverse volte e ho sempre avuto l'impressione che sarebbe finito esattamente così: uno in perenne fuga da se stesso, una fuga sempre in avanti, sempre più sparata verso la propria autodistruzione. Lo stimo, ma pensavo: ma questo quando si decide a crescere, a capire che prima o poi la resa dei conti arriva anche per lui? Ma lui ruggiva e fuggiva, sempre più frenetico e sempre più in avanti, quando ha compiuto 70 anni li ha celebrati con una traversata in battello, qualcosa di molto novecentesco, molto simenoniano. Ma se arrivi a 70 anni suonati a capire che il tuo castello fatato non esisteva, che quando crolla rimane solo la realtà, è più difficile che per uno come me che con l'idea del nulla si misura da quando di anni ne aveva 5. Anche di Sgarbi non accettano la dissoluzione, dappertutto piovono appelli perché si riprenda, come se dipendesse da lui, perché torni quello di prima, il che è impossibile anche dovesse uscirne. Io, potendolo raggiungere, gli direi
solo: capisco. Non da dire di accompagnarlo speditamente all'eutanasia, altra smania incomprensibile di questa modernità incomprensibile, ma uno va compatito quando non trova più cielo sopra di sé e dentro di sé: non sempre gli uomini si possono aggiustare, sono come le macchine gli uomini, alla fine devi accettarne la rottamazione anche se ti piange il cuore. Più ci industriamo per distruggerci e più non lo accettiamo, la nostra schizofrenia ricorda quella di uno che cerca di uccidersi in tutti i modi mentre pensa: comunque me la cavo. Saltata ogni ragione, escluso il senso di ogni limite, bandita l'ipocrisia sociale che teneva insieme i rapporti reciproci, il potere reticolare come lo chiamava Foucault, l'unica cosa che conta, che resta da fare è l'autoannientamento nel segno della follia: “l'importante è esagerare”, come cantava Enzo Jannacci. Uno accusato di alimentare nella sua bettola consuetudini turpi come la prostituzione lercia, lo spaccio, la truffa, il riciclaggio, l'evasione fiscale diventa un personaggio in cui riconoscersi, identificarsi grazie all'informazione complice; di questo ceffo, questo Lacerenza che si filmava intento a “sciabolare” bottiglioni di spumante di infima qualità fatto pagare migliaia di euro, i media si sono preoccuparti con accenti epici alla notizia di un suo possibile ictus. Ma chi se ne frega, un farabutto di meno! No, pagine e pagine per spiegare che non era così grave, che se la sarebbe cavata e la colpa se mai era della persecuzione giudiziaria che stava vivendo. Una belga algerina investita della responsabilità della nostra sicurezza continentale fa un video dove estrae dalla borsa griffata le armi per resistere ad una possibile invasione atomica: coltellino svizzero, carte da gioco, una mazzetta di banconote, capperi per la pasta alla puttanesca: è scema o prende in giro? Nel dubbio, tutti fingono di preoccuparsi anche perché il kit per sopravvivere dura solo 72 ore, poi Dio ci salvi. Però dovremmo versare mille miliardi per una difesa armata che nessuno sa dire come adempiere, in quali tempi e con quali prospettive visto che il mondo sta per finire. Difatti sta finendo, anche senza apocalisse nucleare. Sta finendo nel vortice di pazzia degli uomini che, abbiano o meno staccato il frutto proibito, annaspano nella loro desolante incapacità di imparare, di migliorarsi. Non migliorano gli uomini, perfezionano solo il modo di sterminarsi. Più stupido, più falso, più politicamente corretto, ma alla fine le distruzioni nel mondo sono le stesse e i bambini sotto le macerie sono quelli di sempre. E se non muoiono così, li avvelenano con le pozioni.
Non puoi mollare, non puoi abbandonarci, devi andare avanti mi dicono gli affezionati lettori. Ma perché dovrei? E per chi poi?
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