Costruire l’abitare nel post Covid: due nuovi progetti edili basati su sostenibilità e autonomia
Di Stefano Spremberg e Renato Ferrari.
C’è un vizio che accomuna molte delle riflessioni quotidiane scaturite dall’emergenza Covid-19. Un vizio dettato dalla preoccupazione, che spinge le persone a guardare esclusivamente alla propria vita o, al limite, a quella dei propri figli, in una prospettiva temporale immediata. Raramente capita di ascoltare riflessioni che spostino il proprio orizzonte più avanti, verso uno scenario che, se visto in termini geologici, è in realtà imminente. Al contrario, proprio in questo momento, crediamo che sia necessaria una visione più ampia da parte di tutti. Ognuno nel proprio ambito, ciascuno con il proprio ruolo, per provare a contrastare una tendenza molto più catastrofica di quella indotta dalla pandemia. Noi umani, infatti, siamo comparsi su questa terra da pochissimo, ma purtroppo, di questo passo, non ci rimarremo ancora molto. Anzi, visto come stiamo procedendo, è davvero probabile che il nostro tempo sia agli sgoccioli. Le risorse naturali, ormai, sono quasi esaurite e, visto il continuo ed esponenziale aumento della popolazione, potrebbero finire anche prima del previsto. Crediamo, quindi, tocchi a ognuno di noi provare a far qualcosa per prolungare la vita sulla terra. Cercando di ridurre i consumi, per esempio, o di rallentare l’aumento della temperatura inquinando meno, perché non abbiamo ancora un “piano B”, al di là delle ipotesi fantasiose di colonizzazione di altri pianeti, che sono per lo più ridicole se pensate in un periodo che ci permetta di utilizzarle davvero in un tempo utile. Anche se è un’utopia per le religioni, per gli interessi economici, per lo status che molti si sono ricavati … ci vorrebbe un governo unico a livello globale che possa gestire in modo organico gli interessi di tutti, anche a costo di decisioni severe e che controlli con coscienza e razionalità le risorse e l’aumento demografico per il bene comune. Molti pensano che i confini della propria nazione li isolino dal resto del mondo, ma in realtà, ovviamente, tutto è collegato. Purtroppo paradossalmente è molto più probabile arrivare a questa ipotesi attraverso una guerra tra le superpotenze dove chi vince prende tutto “quello che rimane”, trasformando il mondo in una nazione unica gestito da un solo governo. Per evitare questa ipotesi, sta quindi a ciascuno di noi, secondo le proprie competenze, provare a dare un contributo. Contributo che, nel campo delle costruzioni, ha delle caratteristiche ormai chiare: si tratta di provare a consumare meno territorio, di aumentare l’impiego di vegetazione e di pensare a processi meno inquinanti.
Ovviamente, è un tentativo che va ben al di là dell’emergenza Covid-19. Il punto, però, è che probabilmente dopo questa pandemia ce ne sarà un’altra. E molto probabilmente sarà legata alle condizioni di stress ambientale a cui stiamo sottoponendo il pianeta e, di conseguenza, anche noi stessi, per il desiderio di essere sempre più ricchi, di avere sempre più cose. Crediamo quindi che tutti i progetti, inclusi quelli immobiliari, debbano andare nella direzione di una visione che aumenti la nostra aspettativa di vita su questo pianeta. Il rischio è che la mancanza di risorse porti a sconvolgimenti sociali nel tentativo di trovare un nuovo equilibrio, quando, in realtà, sarebbe più intelligente pensare adesso ad una forma di cooperazione saggia e lungimirante.
A queste sollecitazioni, naturalmente, ognuno risponde con le proprie azioni e i propri strumenti. Per questo, vorremmo citare due progetti su cui stiamo lavorando, che seguono proprio quest’ordine di idee. Il primo, non ancora avviato, è un tipo di residenza in condominio pensata per l’area milanese e progettata prima dell’emergenza Covid-19, che però si può rivelare particolarmente adatta a rispondere alle problematiche emerse in questo periodo. Mentre il secondo, un edificio per uffici su cui si sta attualmente intervenendo con alcune modifiche in fase di cantiere, rappresenta la dimostrazione di come la pandemia abbia impattato sull’idea stessa di progettazione, portando alla luce necessità e problematiche nuove.
Per quanto riguarda il primo progetto, l’idea di base è stata quella di provare a soddisfare il benessere psicofisico dei suoi inquilini, in ogni sua accezione. Ciò ha portato, in primo luogo, a ipotizzare spazi che non fossero esclusivamente chiusi o aperti ma anche intermedi e, in seguito, a pensare a funzioni accessorie destinate ad attività ricreative legate al corpo che potessero rispondere a questo criterio. L’idea di benessere, però, è stata intesa in senso ben più ampio di così: per esempio, considerando la qualità dell’aria, che si è cercato di migliorare attraverso l’implementazione di tecnologie capaci di generare una sorta di bolla d’aria pura per l’intero condominio; ma anche il comfort acustico, a cui si è prestato particolare attenzione; o, ancora, la possibilità di avere una vista sul paesaggio e di confrontarsi con le piante e con il cielo. Il tutto attraverso un’idea di sostenibilità e di autonomia che, rispondendo al modello di “città in 15 minuti” promosso dal Comune di Milano, fa del condominio un innovativo sistema intermedio fra la scala dell’abitazione e quella della città, che permette di ridurre considerevolmente la mobilità urbana e di riconsiderare le funzioni dell’abitare in una dimensione parzialmente condivisa.
L’edificio si presenta sul fronte urbano come una piastra attrezzata di quattro piani dedicata ad attività commerciali di vicinato. Al suo interno, si trovano un nuovo supermercato e dei servizi di ristorazione, integrati da una serie di parcheggi, con un'area cospicua destinata alla mobilità elettrica. Sul tetto, invece, si sviluppa il nuovo spazio pubblico condominiale, pensato sia attraverso una serie di ambiti più flessibili di socializzazione, sia attraverso una serie luoghi dedicati a specifiche funzioni, come un’area giochi per teenager, una palestra, una piscina, un cinema, spazi per il co-working, orti condominiali. Su questa nuova “quota zero”, quindi, a quindici metri di altezza, si innesta la torre residenziale vera e propria, che si sviluppa per quattordici piani, con tre lati aperti da profonde terrazze dotate di serre. Il tutto nel tentativo di mediare il rapporto fra l’abitazione e la città con una nuova idea di natura, che diventa elemento caratterizzante dell’intero edificio, sia dal punto di vista degli inquilini sia da quello dei cittadini.
Il secondo progetto, invece, ha risentito dell’emergenza Covid-19, che ha portato alla necessità di intervenire in fase di costruzione, apportando alcuni cambiamenti. Si tratta di un cantiere in itinere per la nuova sede del Comune di Milano destinata agli uffici tecnici. Un edificio a corte, a pianta quadrata, parzialmente svuotato sugli spigoli per creare degli spazi intermedi di socializzazione e lavoro, che, dopo uno studio dei flussi di funzionamento, è stato ristudiato completamente per far fronte alle complesse necessità di gestione degli accessi dovute al distanziamento sociale. Gli ingressi, così, sono raddoppiati e l’intero sistema distributivo è stato ripensato, pur non rinunciando agli spazi in condivisione. Ciò rappresenta bene l’impatto che la pandemia sta avendo nella nostra quotidianità, anche a livello lavorativo, portandoci a riconsiderare le più semplici azioni di ogni giorno, in una prospettiva temporale che non è più esclusivamente emergenziale.