Vaccino anti-Covid: 'Il 50% dei vaccinati ha reazioni allergiche'. Ancora dubbi su Pfizer-BioNtech
I primi dati da Londra, una persona su due con febbre, mal di testa e brividi. Negli USA un'infermiera in terapia intensiva
Arrivano i primi dati sugli effetti della campagna di vaccinazione anti-Covid iniziata nel Regno Unito. Londra ha dato il via libera a somministrare il prodotto della Pfizer-BioNtech. Da quanto emerge, sembra che circa il 50% di coloro che si sono già sottoposti alla vaccinazione abbia avuto reazioni collaterali, come mal di testa, febbre e brividi.
Reazioni allergiche per una persona su due
Si apprende dunque che circa il 50% dei vaccinati si senta poco bene dopo aver ricevuto la prima dose del vaccino. Il motivo è presto spiegato: “Il vaccino Pfizer è molto reattogenico, cioè induce reazioni più forti rispetto ai soliti vaccini” spiega Guido Forni, Professore ordinario di Immunologia all’Università di Torino. Secondo il Professor Forni comunque non c’è da preoccuparsi, anzi: “È importante raccontare questi dettagli per preparare la popolazione ed evitare paure inutili”. È infatti noto come tutti i vaccini a cui regolarmente ci sottoponiamo possano scatenare reazioni simili, ma sicuramente una percentuale del 50% di riscontro è fuori dalla norma. “Noi siamo abituati a vaccini iper studiati come l’antinfluenzale, che non dà nessun fastidio”, continua Forni, ma i sintomi sono comunque leggeri e poco preoccupanti.
Certamente, la reazione agli effetti collaterali dei vaccini dipende anche dagli individui. I giovani sono meno esposti rispetto agli anziani o ai soggetti molto allergici. In questo caso, le reazioni possono essere più intense. “Reazioni del genere si sviluppano entro pochi minuti dalla somministrazione, ma i luoghi di vaccinazione sono molto attrezzati per questo tipo di problematica”, ci tiene a specificare Forni, onde evitare che si scateni il panico tra la popolazione. Resta il fatto che, a questo punto, è lecito interrogarsi su come il Governo deciderà di agire, visto che somministrare il vaccino in hotspot temporanei nelle piazze o nelle palestre potrebbe essere difficilmente compatibile con le necessarie precauzioni da prendere.
Dagli Stati Uniti, il New York Times racconta l’episodio di un’operatrice sanitaria che ha sviluppato reazioni allergiche tali da richiedere il ricovero in terapia intensiva. Ora le sue condizioni sono stabili, ma la preoccupazione inizia a montare.
Le temperature di conservazione preoccupano
Il vaccino della Pfizer ha poi un altro grosso problema. La sua temperatura di conservazioni si aggira intorno ai -80 gradi. Le dosi vanno dunque conservate in contenitori in grado di mantenere quella temperatura, scongelati e diluiti prima del loro utilizzo. Viene dunque da pensare che sarà difficile organizzare su scala nazionale hotspot in grado di rispettare questi criteri, più facile pensare che ci si limiterà a sfruttare gli ospedali e i luoghi già attrezzati. Il vaccino concorrente, quello di Moderna, ha invece il vantaggio di dover essere conservato a una temperatura di -30, ma l’Italia di questo ha ordinato meno dosi.
I dati degli altri vaccini
Se dunque su Pfizer iniziano a emergere i primi dubbi, a che punto si trovano gli altri vaccini su cui le varie aziende farmaceutiche sono al lavoro? Sempre secondo quanto rivelato dal Professor Forni, Novax e CuraVax sono al momento in terza fase, dimostrando buoni risultati anche per quanto riguarda la conservazione in frigorifero. Allo stesso modo, ci sono stati grandi progressi anche per quanto riguarda il vaccino prodotto da Johnson & Johnson, per cui potrebbe essere necessaria anche una dose sola, mentre tutti gli altri necessitano di un richiamo.
A lavorare al vaccino non ci sono solo le varie azienda farmaceutiche occidentali. I russi e i cinesi hanno da tempo annunciato di aver sviluppato alcuni vaccini, anche se sia Mosca che Pechino non hanno condiviso i dati in maniera trasparente. Anzi, sebbene i due vaccini siano in fase tre, le procedure di somministrazione che Putin ha approvato per civili e militari non hanno rispettato i canoni standard. “Lo sputnik russo (il nome del vaccino di Mosca) è innovativo e potrebbe dare dei risultati. Così pure i quattro cinesi, ma i dati sono ancora parziali per essere sicuri” ha concluso Guido Forni.