Ottima docufiction di Sky Arte su Pellizza da Volpedo con Fabrizio Bentivoglio: il pathos di una pittura sociale e spirituale che oggi ci manca
Meditando sulla straordinaria pittura pelizziana con amarezza vediamo cosa sia diventata l'arte e la società oggi
Sky Arte torna alla ribalta con una programmazione di 4 docu-fiction dedicate all'arte: "Pellizza pittore da Volpedo", nelle sale in questi giorni, e poi: l'Alba degli Impressionisti, Van Gogh e infine ci sarà Andy Warhol. Ho potuto apprezzare la prima uscita dedicata ad un artista celebre ma tutt'ora paradossalmente sottovalutato: Giuseppe Pellizza (da Volpedo), l'autore del celeberrimo "Quarto Stato" che divenne ed è un'icona mondiale al pari del Cenacolo e della Gioconda di Leonardo, del Bacio di Hayez, della creazione di Adamo della Cappella Sistina e del David di Michelangelo. Poche opere straordinarie e uniche che sono anche icone pop mondiali proprio per i loro aspetti posturali e formali, facilmente reinterpretabili in senso allegorico-simbolico anche a fini di advertising commerciale. Il Quarto Stato pellizziano a sua volta è una ricapitolazione universale dell'arte per le sue allusioni al David, all'opera di Botticelli, Leonardo e alla Scuola di Atene di Raffaello, altra icona universale (non ce ne sono altre). La vicenda biografica e artistica di Pellizza è un caso emblematico per meditare sui rapporti fra mercato e arte nei tempi recenti. Due sono i motivi di una sottovalutazione di un'opera pittorica meravigliosa: la scelta coraggiosa ma penalizzante dell'artista di vivere in un piccolo paesino contadino invece che a Milano o in altre grandi città dove il mercato dell'arte era rilevante, e, ancora di più: la marginalizzazione dell'Italia rispetto al mercato dell'arte mondiale trainato da più di un secolo dall'area angloamericana. Oltre a questo Pellizza ebbe una triplice sfortuna personale in relazione al rapporto fra i tempi del suo percorso artistico e i tempi del decorso storico e questo secondo tre aspetti: a) il produrre due opere immense come "Fiumana" e il "Quarto Stato" pochi anni dopo la repressione governativa dei moti popolari di Milano, mentre tutti i pittori avevano abbandonato i temi sociali per paura di rappresaglie politiche; b) l'inizio delle avanguardie artistiche mentre Pellizza continuava fedelmente a portare avanti lo scenario del divisionismo (mentre Boccioni colse al volo le novità, adattandosi); 3) la sfortuna della vittoria del Fascismo che archiviò nei depositi il suo capolavoro appena acquistato nel 1921 con pubblica sottoscrizione dal Comune di Milano (e oggi ammirabile alla GAM di Milano, in via Palestro). Detto questo la vicenda della fortuna dell'opera di Pellizza è utilissima per riflettere sul peso devastante del nume Mercato sulla valutazione della reale qualità artistica ma ci permette di riflettere (amaramente) anche su altri temi se ci soffermiamo lucidamente sui soggetti narrativi delle sue opere. Pellizza assume vicende o occasioni narrative di un piccolo paese contadino (Volpedo) trasfigurandole in immagini universali, spirituali, umanistiche, intensamente profonde: una processione religiosa, la delusione amorosa di una pastorella, la morte di un anziano indigente, una famiglia che si abbevera ad un torrente, due giovani che passeggiano, dei ragazzini che fanno un girotondo. Ecco l'essenza della grande arte: l'efficacia trasfigurativa tramite una sapiente regia del colore e della luce. Se prendiamo Pellizza per quello che è: un maestro mondiale della pittura, il giudizio sulla pittura figurativa attuale appare impietoso e non per questioni tecniche (anche oggi ci sono pittori bravi tecnicamente non meno di Pellizza) ma per questioni di percorso culturale e di scelte etiche e narrative. Oggi la pittura non riesce più ad affrontare nè i temi sociali (se non in senso macchiettistico-retorico, comunque in via minoritaria) nè i grandi temi umani e umanistici, che sono i temi universali e perenni e che Pellizza e il suo tempo ha sempre declinato. L'arte oggi non ha pathos, nè anima nè umanità. Si riduce ad "effettismo", a mero tecnicismo. Quasi si nasconde e si vergogna delle proprie possibilità e abdica sempre ad un ruolo di impegno etico o di responsabilità umana. Sono i frutti della desertificazione prodotta dal fare del Mercato un idolo elitario di massa, non più un mero strumento di correnti di pensiero e di valore. Pellizza resta un maestro di umanesimo a cui è utile tornare; in primo luogo contemplando tutta la sua produzione e meditando su questa pittura "d'anima" intensamente filosofica quanto naturalistica. Il confronto fra le difficoltà dell'umile Pellizza e il successo di Giovanni Segantini dimostra quanto il Mercato sia dispotico e arbitrario. Segantini aveva "santi in paradiso" e quindi poteva permettersi di vivere a 2000 metri tra le Alpi e con la sua compagna (in pieno scandaloso concubinato, secondo i canoni di allora) come voleva, leggendo Nietzsche che nessuno conosceva ancora (e ancora vivente) ed era il pittore meglio pagato d'Europa mentre Pellizza viveva in un umile nascondimento, isolato. Ma il Mercato serve a qualcosa se non è meritocratico? Se l'idolo oppressivo e dispotico di un Mercato elitario già più di un secolo fa poteva decidere chi dovesse prevalere o meno come artista non stupiamoci di come oggi siano celebrati ancora scarti e feccia al posto della vera e grande arte, mai venuta meno, specie in Italia. Giuseppe Pellizza da Volpedo è stato l'ultimo poetico e filosofico cantore di un mondo di cui Volpedo è stato simbolo e di cui il Mercato aveva già decretato senza appello il pieno sterminio o la totale marginalizzazione. E se l'utopia socio-green della "città a 15 minuti" fosse anch'essa uno strumento divisione e marginalizzazione della massa?