"Father Mother Sister Brother": un film di grande stile, spessore e liricità che lavora per sottrazione e sembra orientale
quando il cinema imita la realtà e una realtà che vela un cuore poetico, ambiguo e affascinante. Con una spietata Charlotte Rampling e una goffa Cate Blanchett
Cosa lega un rolex all'acqua e ad un senso di "desolandia"? Tre storie di rapporti famigliari anomali, strani, possibili, verosimili. Un film con un grande cast che ci regala un senso alternativo di realtà e di una realtà fatta di silenzi, imbarazzi, fraintendimenti, ambiguità, illusioni e inganni: tutte dimensioni importanti nella vita reale e di solito censurati nell'arte cinematografica e invece in quest'opera diventano il baricentro di due tra le tre storie dell'opera. Un padre reticente che recita nella vita verso i suoi figli che faticano a fare la parte dei figli, due figlie (una delle due è una Cate Blanchett ringiovanita di 20 anni tramite trucco e computer) similmente recitano una parte con una madre che non parla mai di se stessa e alla fine la celebrazione della vera fratellanza: sincerità, intimità e trasparenza dei cuori. L'illusione artistica del reale funziona tanto nelle prime due storie, fatte più del "non detto" che del parlato, che nella terza, ricca di comprensione e unità sentimentale ma di un'unità che ruota attorno all'assenza prematura e improvvisa dei genitori. Per questo sembra un film orientale: perchè parla per negazione, affascina tramite l'assenza, gioca con il vuoto quale sottile ma potente motore narrativo. In questo è un film profondamente e ampiamente realista: perchè nella vita vera è più ciò che non si risolve di ciò che si comprende. Potrà l'Arte salvare l'Occidente? Forse...Per chi sa accoglierla e immergersi nei suoi meandri. L'Arte dilata anche il tempo filmico che sembra molto ampio grazie alla condensazione narrativa e spaziotemporale mentre invece si avvicina abilmente al tempo esistenziale. Un sottile filo di segnaletica simbolica e allusiva connette le tre storie, fra cui il tema di un rolex che non si capisce se sia vero e falso e questa fertile ambiguità diventa come una metafora acuta dell'esistenza e dei rapporti sociali e famigliari fatti spesso di compromesso, necessitata recitazione e auto-suggestione (per sopravvivere con la propria coscienza). Finalmente un film che non segue uno schema finalizzato e stereotipale ma "resta dentro se stesso", abita le corde profonde dell'esistenza, senza idealizzazioni nè decostruzione.