La tragedia della "Lady Macbeth" di Sostakovic: un'opera sublime per una prima della Scala 2025 straordinaria

l'anima lirica russa in una resa registica affascinante, sensibile e rigorosa tra pragmaticità e classicità sperimentale

La regia di Vasily Barkhatov mi è sembrata perfetta per la musica eclettica, imprevedibile e iper-creativa di Sostakovic perchè ha congiunto un verismo perfetto per il senso di coralità sociale proprio dell'anima russa popolare con uno dei cardini della nuova sperimentalità scenografica: la strutturazione architettonica multi-livello/quadripartita, già sperimentata da Signorini nella sua Boheme di Puccini all'Arena di Verona e derivante da alcune serie tv Usa anni 70', la quale permette una visione più dinamicizzata, più corale e sinestetica.

Barchatov ha realizzato una scenografica autentica e trasparente che ha permesso di massimizzare i due carismi principali di quest'opera singolare e unica: il senso del peso sociale, cioè il lato oscuro della collettività-fato, e la singolarità irriducibile dell'individuo, matrice del senso anti-nomico del tragico. Le due anime russe che Sostakovic sublima e trasfigura in una musica fuori da ogni schema e riconoscibilità. La polarità scenica di bilanciamento e complementarietà dialettica il regista l'ha trovata nell'efficacia del situazionismo del tavolino con l'ufficiale zarista in uniforme bianca. Una metafora esistenziale del Male quale dis-umanità della burocrazia e di un potere distante e insensibile.

I tavolini che salivano dalla botola, dal basso per apparire nel buio dell'immenso palco con video-foto storiche dell'identificazione dei criminali. Un minimalismo performativo e situazionistico molto efficace che da conto dell'estrema versatilità musicale dell'autore che in quest'opera passa in poche note da un intimo sussurro a toni solenni, epici, drammatici. Una scenografia quindi maieutica che ci aiuta ad interiorizzare la paradossalità di una tragedia totale quanto endo-borghese, pauperista dove la protagonista appare una meteora quasi costretta al crimine fino all'autodistruzione.

Da parabola dell'anti-borghesismo sovietico l'opera, come tutte le grandi opere artistiche, vive di vita propria da molto tempo e ora ci riappare quale immagine viva dell'essenza della tragedia quale conflitto fra il singolo e il destino, che sia sociale o politico o sentimentale. Un tavolino e quattro sguardi: il singolo e il Nomos che lo dissolve. Attento e sensibile anche il casting delle comparse: volti pittorici, rosseggianti, espressionisti per indicare e concretizzare una liricità popolare vibrante.

Sostakovic realizza una tragedia che gioca con il tempo e con i veli della commedia per indicarci che l'essenza tragica è connaturata con ogni vita, con ogni esistenza, già nella sua quotidianità. Una bipolarità struggente che appartiene al carisma del grande compositore e che troviamo anche nel magnifico suo Second Waltz: fasto, ebrezza e struggente dissolvenza. Mai walzer fu più tragico nella sua messa in scena dello scorrere inesorabile su se stesso del tempo musicale e mai giovane regista così sperimentalmente classico cioè profondamente autentico quanto Barkhatov.

Il coraggio dell'adesione totale allo spirito della musica e ai carismi autoriali originari quale fulcro per restituire al pubblico il senso della tragedia quale forma universale, diacronica, corale e totale. Non c'è da stupirsi se questa tragedia non fu apprezzata da Stalin: mancava di quella polarizzazione che le dittature amano; qui il conflitto tragico appare endemico, diffuso, virale. Troppo fluida la distinzione tra bene e male e tra i ruoli etici. Anche per questo è un'opera attuale.