"La vita va così": un film di successo che unisce semplicità a bellezza e che risponde a bisogni psicosociali profondi

Il fascino romantico dell' "eroe che dice no": quello che la gente vuole nell'assenza dolorosa di modelli paterni

Questa sera la sala del cinema dove mi sono recato era piena per vedere un film dove la bellezza mozzafiato della Sardegna era protagonista assoluta. Un film tratto da una storia vera, già di per se molto romanzesca, poetica e filmica: la storia di un povero pastore sardo che rifiuta ogni ricca offerta di denaro per non cedere il suo casolare vicino al mare dove pascola le sue poche mucche. Un pastore che vince la più grande azienda immobiliarista d'Italia. Perchè questo film ha successo? Chi ama il cinema apprezzerà la recitazione seria, melanconica e meditativa di Abatantuono, l'interpretazione verace di Virginia Raffaele, il tono smorzato al punto giusto di Giovanni (di Aldo, Giovanni e Giacomo) e il mitico protagonista con la sua bella lingua sarda, che ricorda molto il latino da cui deriva. Ma non sono queste le ragioni profonde del successo, che prevedo, di questo film. Le ragioni sono archetipali e psicosociali: in una società dove tutto è in vendita, tutto è compromesso e mancano modelli maschili, virili e paterni il caso, vero, del pastore sardo che vive da solo nell'antico casolare di famiglia e, solo contro tutti, non cede a nessun compromesso soddisfa il desidero inconscio profondo degli italiani del "Principio che manca", del ruolo del Padre. Il pastore sardo incarna così quei "principi non negoziabili" di cui dopo Benedetto XVI nessuno più parla. Un film a suo modo sovranista, in quanto ruota tutto attorno alla difesa della proprietà individuale, della memoria famigliare, della terra dei padri. Un film che i texani amerebbero molto, loro che difendono da sempre la proprietà privata al 100%. E siccome la bellezza è anche simmetria e proporzione mi sembra azzeccata la specularità iconica tra il grande imprenditore che contempla il paesaggio urbano di Milano dall'alto del suo ufficio in un grattacielo e il pastore sardo che contempla il mare e il golfo seduto su un sasso. Due polarità estreme che si incontrano nella meditazione dello scorrere del tempo. Altro merito di questo film, oltre ad aver evitato che Virginia, Giovanni e Diego non uscissero dalla loro maschera (e invece ci sono usciti abilmente) è dato dal non aver lasciato spazio all'ambientalismo quale retorica restando nella focalizzazione narrativa incentrata sull'individualità e sulla singolarità della persona umana contro il conformismo e le aspettative sociali. Ecco il segreto del suo successo: la persona umana rimessa al centro contro la religione del compromesso, del denaro e dell'adeguamento sociale. Lo stesso motivo per cui fa ridere l'umorismo di Angelo Duro. Buon segno! Qualcuno si sta accorgendo che la propaganda annoia e gli esempi di vita vera invece attraggono e funzionano. Il principio di sovranità parte del corpo, dal singolo, dalla terra.