"Bugonia": un titolo antico e raffinato per un film surreale e inquietante che opera su più livelli. Un Lanthimos che ci piace e diventa un classico

Una fantastica e inedita Emma Stone in un racconto che sintetizza il lato oscuro dell'America attualizzato alle mitologie contemporanee

"Bugonia", cioè: la nascita dalla carcasse del bue, cioè l'antica convinzione greca e biblica che dai resti di un bue potessero nascere sciami d'api. Questo film sorprendente sembra già un classico, come Donnie Darko o Solaris o Delicatessen. Un "classico" nel senso di un'opera autoriale importante, in se perfetta, autonoma e che mescola più linguaggi e livelli. Il primo livello è il conflitto tra l'America dei complottisti e degli sfigati-frustrati (ma anche: country) e l'America delle elites internazionali, vincente e iper-efficiente. Il secondo livello è dato dal giocare fra finzione e rappresentazione, verosomiglianza e simulazione. Registri oggi sempre efficaci in quanto viviamo appunto in una società che mescola continuamente l'artificiale e il simulato con l'esperito e il fisico. Emma Stone è straordinaria nel rendere questo gioco: la donna sequestrata che si adegua simulatamente alle mitologie dei sequestratori ondeggiando tra durezza esistenziale e utopia retorica, istinto di sopravvivenza e gioco psicologico di potere. Il terzo livello è dato proprio dalla celebrazione dei tormentoni e delle ossessioni stile web oggi imperanti: ufo, alieni, le manovre delle multinazionali. Come Dan Brown Lanthimos esprime al meglio il soggetto narrativo che gioca dall'interno con la leggenda metropolitana che diventa incubo reale e il reale che rivela il suo lato oscuro. Quì abbiamo un concentrato di oscurità tipiche dei film statunitensi: abusi, serial killers, ossessioni, potere spietato, insomma tutto il circo psicopatico celebre e tipico dei film americani. Un duello psicologico e fisico che tiene alta la tensione grazie ai dialoghi, agli aspetti intellettuali e culturali della trama ed è proprio la trama stringente e lineare che permette a Lanthimos di non eccedere in modo stucchevole come in "Povere Creature" ma di esprimere i suoi toni sopra le righe e la sua intensità lirica dentro la struttura narrativa solida che appunto fa di questo film "un classico". Alla fine il tipico ribaltamento semantico (come in: The Others) che si poteva anche prevedere ma funziona comunque nella sua originalità, introducendo così un quarto livello espressivo: la sintesi tra dietrologia e realtà generando una nuova prospettiva valoriale, inquietante e stimolante in un circolo ermeneutico assurdo ma affascinante. Quando gli opposti si co-implicano e superano se stessi. Bella la mappa del mondo azimutale e il finale apocalittico, oggi molto in voga.