"After the hunt": una delle migliori interpretazioni di Julia Roberts. Un Guadagnino che omaggia Woody Allen, abilmente
Un cinema americano più libero che si rinnova adeguandosi alla fine del politicamente corretto e assorbe l'intelligenza artistica italiana
Julia Roberts non mi è mai piaciuta molto a livello attoriale, anche per quei sorrisi esagerati, troppo stilosi. Ma in questo film, dove sorride poco e appare più naturale e libera dagli stereotipi l'ho trovata straordinaria, efficace, coinvolgente. Una performance sempre su un filo sottile tra ambiguità, tensione, turbamento, freddezza. Finalmente il baricentro si pone sui toni sfumati, sul chiaroscuro, sull'ambiguità e proprio per questo il film appare come film d'anima che ci interpella e diventa una forma inclusiva, universale, paradigmatica, come nelle tragedie greche. L'antinomia etica propria delle tragedie greche viene tenuta in questo film attiva e stimolante fino all'estremo, fino alla fine divenendo un fattore strutturante. Ottima la fotografia, affascinanti i dettagli scenici oggettuali degli interni, un magnifico Michael Stuhlbarg che ricordava il miglior Robin Williams ironico, leggiadro e buffo; una regia sapiente dei tempi e delle sfumature. Nessuna disarmonia, nessun decorativismo: insomma un film riuscito, equilibrato, autorevole ed elegante. Guadagnino omaggia Woddy Allen fin dall'inizio nelle musiche iniziali e nel font dei titoli d'inizio ma anche nell'essenza tragicomica che regge tutta la narratività del film. Allen infatti non ha mai nascosto il suo fondo tragico essenziale che spesso vela con la sua stupenda ironia e comicità surreale-esistenziale ma che emerge con forza in molti suoi film: Settembre, Il Prestanome, Un'altra donna, Blu Jasmine, Macth Point, La ruota delle meraviglie, Irrational Man (dove riprende Dostojesky) e molti altri. Un omaggio che dimostra la forza di Guadagnino; perchè i veri artisti non hanno timore di confrontarsi con i migliori e di giocare con essi. Qui Guadagnino riesce ad esprimere al massimo le potenzialità dell'ottima sceneggiatura e delle capacità attoriali ottenendo un effetto artistico raro e prezioso: l'impressione che il film parli di altro rispetto alla sua immediatezza narrativa. Tre sono i suoi livelli infatti: l'antinomia etica fra amicizia e ruoli di potere, il rapporto tra amore ideale e affetto quotidiano-famigliare, il superamento dell'ideologismo universitario della propaganda anti-discriminatoria. I temi sociali sfiorati quanto i temi morali restano quali fattori creativi del film ma senza mai divenire stucchevoli nè debordanti in quanto vengono bilanciati dai discorsi intellettuali (anch'essi alla Woddy Allen, ma senza citazionismi) dalle allusività esistenziali e dalle intimità dei protagonisti che vengono esposte in modo accennato, delicato. Un sapiente gioco registico nel senso più profondo del termine. Quando la regia diventa piena e profonda autorialità aristica al massimo livello. Come diceva Tommaso Landolfi in Rien Va: "non si può fare letteratura con la letteratura, nè la musica con la musica"; cioè: l'arte inizia quando supera la sua stessa tecnica e i limiti dei generi, come in questo caso. Similmente Agamben sui Pulcinella di Tiepolo: "la parola può essere solo al di là o al di quà della vita". Un film americano che non cade nel moralismo/scandalismo ed evita gli schemi ormai logori del giallo e del trilling criminale: un vero prodigio, no? Un clavicembalo ben temperato.