Vermiglio, continua la sua corsa verso l'Oscar.
Il film e' stato da poco presentato anche al prestigioso Festival del Cinema di Busan in Corea
Vermiglio, il film selezionato dall’Italia per gli Oscar, inizia la sua corsa e ha fatto tappa a Busan dove GDI ha intervistato in esclusiva la sua produttrice Francesca Andreoli. Il lungometraggio è stato presentato in anteprima il 2 settembre 2024, al Festival di Venezia, dove ha poi vinto il Gran Premio della Giuria-Leone D'Argento. È stato poi selezionato per rappresentare il nostro paese ai Premi Oscar del 2025 nella sezione del miglior film internazionale.
Il film si snoda nel 1944 dove l'arrivo nella remota Vermiglio di Pietro, un soldato siciliano, travolge la quotidianità di un insegnante e della sua famiglia, mentre Lucia, la maggiore delle sue figlie se ne innamora e decide di sposarlo. Alla fine della guerra Pietro torna in Sicilia e Lucia dà alla luce un bambino. In famiglia si apprende dal giornale che Pietro, che era già sposato con una donna siciliana, viene da questa ucciso. A Lucia non resta che affidare il piccolo ad un orfanotrofio.
D: Quale reazione avete avuto dopo dopo la conferma della candidatura all’Oscar?
R: Noi guardiamo ogni traguardo con grande stupore, prima di tutto l’ammissione al concorso a Venezia, poi addirittura col premio e questa candidatura ha concluso il cerchio. Sarei ipocrita se dicessi che non ci speravamo, sapevamo che in qualche modo, per come il film era stato recepito e per il tipo di percorso stava facendo, che ce la giocavamo, avevamo le carte in regola per riuscirci. Non sempre questo è sufficiente, serve sempre un po’ di fortuna delle congiunzioni favorevoli, degli incastri che ti portano fino a quel punto. La notizia dell’Oscar è stata la conferma che quando lavori sodo per tanto tempo con i partner giusti e costruisci un percorso virtuoso dall’inizio, allora le soddisfazioni i riconoscimenti arrivano. La strada comunque è lunga.
D: Avete comunque superato una certa vetta? La strada si fa ora più difficile, o va in discesa?
R: Il lavoro che continuiamo a fare è enorme, anche ora che è partita la giostra della campagna Oscar. In realtà non ci siamo mai fermati, dal comunicato della selezione a Venezia in poi è stato un continuo lavoro, che ancora non si è concluso.
D:Poi ci sarebbero anche Golden Globes.
R: Mi ci sto affacciando adesso e ci capisco ben poco. Mi dicono che la campagna Golden Globe è importantissima, sta giusto partendo adesso anche quella. Ma noi in questo mondo siamo dei novellini, ci stiamo affidando al distributore Americano, ci affidiamo ad Anonymous Content che ci sta dando una grande mano sugli States. Mi sembra giusto fare affidamento su chi in questo ambiente è molto più competente di noi e sa muoversi con più agilità ed efficienza.
D: Quali sono state le difficoltà di voler trattare un argomento così intimo?
R: Avevo molta fiducia in Maura. Il mio approccio come produttrice anche in questo caso è stato affidarsi alla visione dell’autore. Tendo a non interferire troppo con la poetica dell’autore, perché ognuno deve fare il suo lavoro, come due strade tendenzialmente parallele che di tanto in tanto si intersecano, vanno a sovrapporsi. Ho conosciuto Maura prima di tutto attraverso i suoi documentari, quindi da spettatrice. Ho lavorato tanti anni nella Cineteca di Bologna, mi occupavo dell’organizzazione del festival Visioni Italiane che esiste ancora oggi, dedicato alle opere prime, corti e documentari; Maura al tempo portava in selezione i suoi documentari che erano già bellissimi, perciò io ero innamorata di lei già da quei lavori. Quando ci siamo trovate sul suo secondo film per me è stato naturale accettare. La sceneggiatura, tra l’altro, era bellissima già nella sua prima versione, molto forte e completa, quasi un romanzo. Ci sono state delle difficoltà produttive, certo, ma Maura veniva già da un buon esordio cinematografico. Per questo, in prima battuta, abbiamo cercato di riproporre i partner del suo primo film. Come produttrice trovo poco stimolante fare film sull’Italia solo per l’Italia, perciò cerco sempre partner almeno europei. Ho letto non ricordo dove che “i bei film, comunicati nel modo giusto, ottengono una risposta dal pubblico” e devo dire che è vero, lo attesta il fatto che abbiamo superato il milione al box office.
D: Si fanno molti confronti con altri registi, quale vi è piaciuto di più?
R: Maura ha una formazione simile alla mia attraverso la cineteca di Bologna, quindi abbiamo le stesse referenze e grandi maestri del cinema europeo. I riferimenti lavorano all’interno ma non ce n’è mai uno preponderante, spesso si mescolano e fanno scaturire una nuova poetica dell’autrice. Maura racconta una storia molto personale, la storia della sua famiglia: ha fatto un lavoro di ricerca di più di un anno, ha visitato i luoghi dove ha vissuto la sua famiglia, ha parlato con persone che si ricordavano di quei tempi, ha sfogliato i vecchi album familiari, ha fatto una ricerca sul dialetto quasi chirurgica. Abbiamo avuto consulenti di storia locale, di dialetto, un lavoro chirurgico per far vivere allo spettatore quel tempo e i quei luoghi. Luoghi che sono stati davvero accoglienti, pur sapendo poco del film e della “macchina cinema”. La soddisfazione ora è enorme e la disponibilità degli attori e delle famiglie degli attori minorenni è stata enorme, disponibilità che ora sta venendo ripagata.
D: Oltre agli attori locali, come avete organizzato la parte proveniente dall’esterno?
R: Abbiamo avuto due casting director che si sono avvicendati. Il processo di casting è stato anche quello lunghissimo, ha preso più di un anno. C’è stata prima Stefania Roda e poi Mauriglio Mangano che ha coperto l’ultima parte. Un lavoro minuziosissimo sul territorio, fatto insieme a Maura: quasi non hanno fatto call per far venire i ragazzini, sono andati loro fuori dalle scuole, dai laboratori, per le strade a cercarli uno per uno, le facce giuste. L’esigenza era quella di non cercare “bambini attori”, noi volevamo ragazzi che non sapessero nemmeno com’era fatta una macchina da presa, che non avessero alcun desiderio di comparire. Dall’altra parte poi c’è stato un lungo processo di acting coach di Alessia Barela che li ha portati a quella naturalezza che vediamo sullo schermo, oltre che a farli diventare una famiglia, perché tra loro non si conoscevano.
D: Qual è la caratteristica che ti piace di più di Maura, quella che la fa apparire più vera e vincente?
R: Profondità, poetica e rigore. Maura è una persona che studia tantissimo, non lascia niente al caso: questo essere così precisa e chirurgica ti restituisce, prima in scrittura e poi in ripresa, dei risultati secondo me straordinari. Non ci sono sbavature o errori, permette allo spettatore di vivere con loro, in quella casa con quella famiglia, di sentire il profumo del latte caldo la mattina, lo scoppiettare del fuoco nella stufa, lo scendere della neve sui tetti…riesce a creare dei mondi attraverso un lavoro estremamente minuzioso.
D: L’idea della storia com’è venuta?
R: Maura stava scrivendo un altro film quando il padre che le era mancato mesi prima le è apparso in sogno in forma di ragazzino di sei anni che giocava nella casa di famiglia a Vermiglio. Lei in quel momento ha avuto una epifania, in cui ha capito che effettivamente il film che voleva fare era sul racconto della grande famiglia di suo papà. Quando lei è arrivata a me aveva già una prima versione della sceneggiatura in cui l’impianto del film era abbastanza chiaro.
D: Chi sono secondo voi gli eroi di questo film?
R: Si tratta di un film composto da tantissimi personaggi, ognuno con la sua linea narrativa che si interseca con le altre. Si tratta comunque di una famiglia molto numerosa, come quelle dell’epoca. Quello che sto sentendo dalle critiche e dagli spettatori è che ognuno ha il suo personaggio preferito: Ada piace moltissimo, perché è la sorella che cerca di emanciparsi ma non riesce, che trova il modo di ribellarsi anche nella clausura. La figlia più simile al padre, che per tutto il film ha cercato di domare il figlio maschio non capendo che in realtà quella più vicina e simile a lui era la figlia femmina, era Ada. Il padre è una figura estremamente ambigua, portatore di un patriarcato estremamente rigido che impone scelte così brutali, ma dotato di una cultura e sensibilità incredibile: compra i dischi anche se la famiglia ha malapena da mangiare, non porta mai un fiore alla moglie dopo dieci parti eppure ha la sensibilità di far ascoltare alla sua classe un brano di Vivaldi. A cavallo tra tradizione e modernità.
D: La guerra si inserisce in maniera particolare.
R: Non ci interessava fare un film di guerra e storicamente in quel paesino la guerra non è mai arrivata. Comunque la famiglia ne soffre le conseguenze. Il soldato che arriva, il cugino che ritorna e non è più lo stesso, il destino di Lucia che ha una svolta inaspettata. A quell’epoca l’Italia non era un paese unificato e la lingua italiana ancora non esisteva propriamente, quindi l’incapacità di comprendersi verbalmente con il soldato, ma solo attraverso sguardi e carezze non ha fatto altro che enfatizzare l’amore attraverso la sua incomunicabilità.
D: Pensa ancora di collaborare con Maura?
R: Certamente. Maura è in società con noi, quindi sicuramente torneremo a lavorare assieme. Lei è un’autrice che stimo immensamente e che voglio seguire anche nei prossimi lavori. Aspettiamo che la giostra di Vermiglio finisca - e anche il più tardi possibile - e vediamo che progetto nascerà. Prima di tutto io ascolterò la voce dell’autore, capirò dove la porterà la sua ispirazione e darò il mio massimo contributo.
D: Dopo Busan dove andrete?
R: Londra, Chicago, Haifa, Rotterdam…Vermiglio è il film più selezionato internazionalmente di quest’anno. Inizia un tour continuo. Se il pubblico risponderà sempre come ha risposto sino ad ora, sarà una soddisfazione enorme.