Il film Gloria! di Margherita Vicario incanta il Festival di Busan

Il film, dopo in successo ottenuto a Berlino, e' stato ben ricevuto anche in Corea al prestigioso festival

Il Giornale D’Italia intervista in esclusiva, al Festival Internazionale del Cinema di Busan in Corea del Sud, Margherita Vicario regista del film Gloria!Il cinema italiano si e’ presentato in forze quest’anno durante il piu’ importante evento cinematografico in Asia. Gloria!, presentato in concorso a Berlino quest’anno, racconta la storia di Teresa, una giovane dal talento visionario che in un rigido collegio nel 700’ scavalca i secoli e sfida i polverosi catafalchi dell’Ancien Régime inventando una musica ribelle, leggera e moderna. 

D:Da dove siete partiti imaginando questo film? 

R: È ispirato a un contesto realmente esistito, un contesto religioso, dove venivano cresciute alla musica queste orfane, per suonare per la gloria di Dio. Mi sono attenuta a delle fonti storiche. Ovviamente un contesto religioso ha le sue regole, e quindi tutto il film racconta come attraverso l’arte e l’espressione profonda di loro stesse, queste ragazze cercano di ribellarsi a queste regole. Il film dal catalogo qui sembra molto serio, ha dei tratti molto seri, è vero, ma si tratta di un film leggero. 

D: Come hai lavorato con gli attori per creare questa sintonia? 

R: Questi attori li ho scelti perché volevo che le loro facce fossero esteticamente in linea con l’epoca, senza toppe. Tutte le facce che ho scelto sono molto intonate all’epoca. Ho fatto due settimane di laboratorio con le attrici, si sono dovute preparare con il coach di violino e violoncello per tre mesi e poi abbiamo provato tutte le scene, durante queste due settimane, nelle location del film. Assieme a Tatiana Lepore abbiamo cercato di creare un gruppo di sorelle vero e proprio, perché poi è difficile rappresentarlo in scena se non c’è niente di “vero” sotto. Così le abbiamo “chiuse” in un albergo con cinque camere da letto per due mesi, in modo che legassero quasi per forza. Nel caso degli attori più maturi (Rossi, Balasso, Elio) si sono appassionati all’idea. Lavorano nel settore da tanti anni e magari non gli era mai capitata una regista giovane con un’idea così ambiziosa, secondo me in questi casi - soprattutto nel caso di un’opera prima - gli attori più navigati vengono presi da un istinto protettivo, di collaborazione. Paolo Rossi, ad esempio, aveva capito perfettamente cosa volevo raccontare e come, ha proprio fatto il film con grande generosità. 

D: Come avete organizzato lo scouting delle locations? 

R: Questi istituti erano realmente ambientati a Venezia, per noi però era impossibile filmare lì, ci serviva una laguna più “incontaminata”. Ci siamo spostati perciò in Friuli Venezia-Giulia, sulla laguna di Grado, molto più selvaggia e all’apparenza più antica. Ho trovato dei palazzi veneziani a Udine, una villa veneziana ad Udine. Tutto quello che ho trovato di veneziano l’ho trovato fortunatamente in Friuli. Abbiamo girato anche in Svizzera, in una co-produzione. Ci sta perché volevo che il film fosse ambientato in un ambiente realistico ma che non fosse ben localizzato, infatti c’è scritto “da qualche parte vicino a Venezia”. 

D: Musica come simbolo di libertà? 

R: Io scrivo canzoni, lo faccio per lavoro, e per me è un mezzo per comunicare anche se chi ascolta non vuole esserne partecipe. La musica comunica che tu voglia o no, anche se non ti piace. L’ho usata come mezzo di conoscenza di sé stessi e di ribellione. 

D: Siete stati sempre fedeli alla sceneggiatura? 

R: Si, sono stata molto fedele. Ho capito che, semmai dovessi fare un secondo film da regista, sono sicura che mi permetterò un po’ più di improvvisazione, non solo dal punto di vista verbale degli attori, ma anche sul senso, sul significato. In questo caso sono stata sempre molto fedele alla sceneggiatura e alla musica, di cui è parte integrante, è stata scritta prima del film. Se un brano dura quello, quello dura anche la scena, c’era poco spazio all’improvvisazione. 

D: Sei stata influenzata, ti sei ispirata ad altri film?

R: Sicuramente influenzata da tutti i film che mi piacciono, a cui sono appassionata. Sono cresciuta a Michel Gondry e Baz Luhrmann, questo misto tra artigianale e superpop. Sicuramente qualcosa di loro c’è nel film. Mi viene in mente “La guerra dichiarata” di Valérie Donzelli, del 2011, che mi ha davvero colpito e ispirato. Lo considero un film molto musicale, c’è tantissima musica, e a quest’ultima viene delegata una gran parte emotiva sella storia, da cui ho tratto grande ispirazione. Ispirazioni italiane non saprei, a getto mi viene a pensare a Sergio Leone e Morricone, ma non ho la pretesa di dire di essere a quel livello, un grande maestro che con il suo lavoro ha ispirato tantissimi, me compresa. Ho ovviamente fatto un lavoro in un’altra direzione, anche perché appartengo anche ad una diversa generazione: ho cercato di fare un lavoro diverso, più teatrale, sono partita dalle musiche e da lì ho costruito le scene, quasi come fosse una partitura fisica. 

D: Nell’ambito musicale, qualcuno con cui ti piacerebbe lavorare? 

R: Non sono una grande fan dei featuring, trovo che questo trend della collaborazione sia quasi diventato noioso. La cosa bella di essere un artista è che puoi portare il tuo mondo, anche condividerlo e farti contaminare; ma il diktat del featuring non mi piace. Ora come ora mi sento un po’ in palla sul futuro. 

D: In Italia vanno molto film dall’atmosfera oscura, che cosa ne pensi del trend? 

R: Penso sia più facile per gli esseri umani riconoscersi nelle miserie che non nelle gioie. Così come nella musica io non amo i cantautori “autolesionisti”, conosco le dimensioni depressive e quello che personalmente fare è stare meglio. Nel mio lavoro e nella mia musica e in questo primo film che ho fatto, la concentrazione sta all’80% sulla speranza e sulla gioia come risultato. È giusto testimoniare anche le cose brutte, penso che il cinema e la musica come esperienze collettive e condivise debbano lasciare un’impronta che ci permetta di trovare quel poco di bellezza che rimane, quell’1% di bellezza, e dipende tutto da come l’artista è riuscito a rappresentare quella bruttezza. A me non interessa, perché viviamo in un mondo dove viene raccontato un essere umano peggiore di quello che è e io voglio raccontare un essere umano bello. 

D: Accoglienza del tuo film all’estero: com’è il tuo stato d’animo di ambasciatrice del cinema italiano? 

R: Mi sono fatta in effetti tutti e 5 i continenti. È stato bellissimo, credo che all’estero l’Italia sia sempre vista come un paese speciale, un paese “che si fa notare”, per dirlo con semplicità. Il fatto che sia rappresentato a Venezia e nel 700’, un ambiente che in tanti conoscono perché caratteristico del nostro paese, come il Barocco, Vivaldi…Sono soddisfatta perché mi sembra che da ogni latitudine sia stata percepita una sensazione di gioia e l’approvazione dell’ambientazione. L’idea alla base del film è qualcosa che chiunque può condividere, della musica classica ne godono in tanti. Il puntio da cui parte il film è qualcosa di universalmente apprezzabile e di questo ne sono davvero contenta. Non volevo fare un film troppo cerebrale e molto istintivo. 

D: Primo film un film sul passato, com’è andata questa challenge? 

R: È difficile ma ha il suo lato positivo. Io che vengo più dalla performance dal vivo, che conosco televisione e cinema come interprete, un primo film d’epoca si salva un po’, ti mette in una categoria dove hai la possibilità di reinventare qualcosa. A cose fatte mi sono detta: mi ha aiutato fare questo film, perché ho inventato una realtà a modo mio che però non è sotto gli occhi di tutti e che per questo ci salva dalle critiche e dalle somiglianze. 

D: Rifaresti un altro film d’epoca? 

R: Forse. La cosa che mi piace di più dei film d’epoca è considerare gli esseri umani - che in realtà sono nostri cugini di qualche secolo fa, dove l’epoca è solo il contesto - somiglianti a noi nei tipici aspetti come l’amore, l’ambizione ecc. Mi piace pensare a cosa condividiamo ancora con le persone del passato, in sostanza. 

D: Si può definire questo anche un film “al femminile”? 

R: Lo definirei anche femminista se vogliamo. Però lo considero più un film sulla gioventù, come ha detto il direttore della Berlinale quando ha deciso di prenderlo: “Un film sul rinfrescante potere della giovinezza”. Però non nego che si concentri molto sulle relazioni, sulle amicizie femminili, spesso le donne condividono gli stessi problemi e spesso hanno una natur