Diva Futura, il film di Guilia Steigerwalt, passa bene l`esame del pubblico alla Mostra di Venezia

Archiviata la mostra del cinema numero 81, il film sull`epopea del porno italiano ha ben bilanciato momenti comico-satirici a parti sicuramente tragiche.

Il Giornale D`Italia durante un ristretto momento stampa ha incontrato la regista italiana Giulia Steigerwalt che ha presentato al Festival di Venezia il suo ultimo film Diva Futura. Alla nostra domanda “Questo mondo si dice disprezzato da alcuni e adorato da altri, come ha giocato con questa contraddizione apparente?”.

Steigerwalt ha risposto : Ho cercato di portare questa grande contraddizione della società nel film rappresentando prima questa grande ascesa, un momento di grande splendore e successo che ebbe l’agenzia. Nel momento in cui si sono trovati di fronte a dei limiti, quando volevano proporsi con un’altra immagine, con altri ruoli, quasi nessuna è riuscita ad andare oltre quel limite che è stato messo, per questo l’epilogo generalmente triste che hanno avuto quasi tutte. Cicciolina entra in parlamento perché c’è stata la volontà di trovare una rottura con alcuni tabù, serviva una volontà molto forte. Dopo quello c’è stato solamente un relegarle a quello che erano senza permettere loro di fare altro. 

D: Il Film prova a ricostruire una verità su una personalità molto nota, controversa, che tutti ricordiamo legata al costume oltre che alla sua biografia. Questa composizione ci consente di ricostruire un po’ il personaggio trovo che sia la chiave interessante che apre alla complessità di questa figura che volevi riportare sullo schermo. 

GS: Quando sono venuta a contatto con questa storia ho visto un caleidoscopio di voci, di punti di vista, di confusione. Per questo non ho voluto prendere un solo punto di vista, ma ho voluto empatizzare con ognuno dei personaggi per portare lo sguardo di ognuno di loro nel film, lasciando allo spettatore questa giostra che erano, questa grande famiglia. La complessità l’ho trovata un’estrema ricchezza e l’ho sposata spontaneamente dal punto di vista di regia, decidendo in maniera del tutto spontanea di seguirli e di approfondire il loro punto di vista. Una molteplicità che ho trovato nella storia e ho cercato di inseguire nel film. 

D: Che effetto ti fa essere tra i pochissimi titoli che portano energia positiva in questa mostra, che inevitabilmente racconta il tempo in cui viviamo? 

GS: Personalmente adoro unire la commedia al dramma, trovo che le due cose si potenzino a vicenda e in alcuni racconti possano dare una lettura un po’ più complessa. La storia che ho voluto raccontare aveva tanta leggerezza, momenti esilaranti, episodi che non ho potuto mettere per economia della sceneggiatura che erano davvero divertenti. Loro raccontano di quell’epoca come gli anni più divertenti della loro vita, in cui si sono trovati a fare cose assurde. Non potevo non raccontare quell’elemento. Ho una visione molto positiva della commedia: penso che si possa parlare delle cose in maniera seria anche facendo sorridere, quindi non ho mai avuto il timore di essere presa poco sul serio sfociando sull’ironia. È il linguaggio che trovo più affine a me. Rispetto al resto del festival non saprei, forse è stata una scelta audace avere un film che si permette dei toni più irriverenti, allegri, ma è un racconto che ha talmente tante note nostalgiche e dei personaggi che avevano delle abitudini comiche a prescindere, che non potevo non raccontare anche questo lato. 

D: La sceneggiatura era inizialmente molto lunga, hai mai pensato a una serie tv o pensi che la storia possa prestarsi al formato serie tv? 

GS: No, semplicemente c’erano tantissimi episodi di vita reale. I limiti naturali che si hanno fanno sempre bene, andare al cuore delle cose è qualcosa di sano e positivo. Inoltre mi piaceva l’idea di raccontare questa storia con un film, mi piace l’idea che abbia questa unità singola. 

D: Le varie attrici sono state vostre consulenti? Vi hanno posto dei limiti nelle loro storie? 

GS: Sì, le persone con cui ci siamo consultati e abbiamo avuto modo di creare anche un grande rapporto di amicizia sono Debora Attanasio (avendo letto il suo romanzo), Eva Henger, il marito di Moana, l’attuale marito di Eva…pensavo che scrivere un film su personaggi realmente esistiti potesse essere un limite, o potesse subire dei limiti, invece devo dire che sono stata stupita dall’onestà che hanno avuto queste persone nel raccontare la loro storia. Nel film non c’è un singolo episodio di mia invenzione, mi sono stati tutti raccontati. Cicciolina è l’unico personaggio con cui non sono riuscita a entrare in contatto, di lei raccontiamo la grande parabola pubblica che ha avuto, del privato si racconta ciò che è ben documentato, spero che anche lei apprezzi il ritratto che ne abbiamo fatto. Tutti gli altri alla domanda: “Posso raccontare questa cosa?” mi dicevano “Certo, senza alcun problema!”. Una grande apertura. Anzi è stato persino più semplice perché i personaggi che avevo davanti erano praticamente già scritti. 

D: Avete timore delle possibili reazioni dell’opinione pubblica? Cosa vi aspettate? 

GS: Non saprei, il tema potrebbe attrarre tantissimo. Essere in concorso al festival potrebbe anche passare come messaggio al pubblico, un consiglio ad andare al cinema e godere di qualsiasi tema. Il problema non sono le tematiche ma come vengono messe in scena, spero non ci sia una reazione moralista. 

D: Rappresentazione visiva di un mondo senza censura, fatto per essere guardato e messo in scena da uno sguardo maschile in quegli anni. Come lo hai gestito da regista, come ti sei interfacciata con le attrici? 

GS: È stata la prima domanda che mi sono posta, perché quando vai a realizzare un film sul porno non puoi né non far vedere nulla, né autocensurarti. Quando si fa una critica ad una visione distorta del corpo femminile, il terreno diventa molto scivoloso. Quando ho dovuto rappresentare delle scene di nudo, soprattutto quelle nell’ufficio, è stato estremamente semplice: lo sguardo stesso di Riccardo non era propriamente in linea con quello maschile. Quando mi sono posta questa domanda mi sono risposta che volevo stare dal loro punto di vista, come la vedevano loro la nudità, quasi come una cosa quotidiana, normalissima. Personalmente non ero interessata a far vedere i corpi, ero interessata a raccontare la loro emotività. Seguivo naturalmente loro con la macchina da presa, come ho fatto con Eva: l’importante è empatizzare e stare con loro. Scelte che ho preso istintivamente ma con l’emotività del personaggio.A volte le storie più assurde sono quelle che mancano ogni tanto qui in Italia. Ho sempre invidiato la cinematografia statunitense, non perché abbia mito dell’America, piuttosto perché quello è un paese in cui per il tipo di legislazione che c’è, la mentalità di prendere e fare da soli una cosa, da la possibilità di avere delle grandi storie assurde da raccontare. Quando sono venuta a contatto con questa storia ho pensato che fosse qualcosa di assurdo, ma soprattutto italiano. 

D: Cosa avete concordato per le scelte dei brani, qual è stato il processo decisionale con Michele Braga? 

GS: Adoro la musica nei film, nel senso che quando entra a far parte della narrazione senza rendere retorico quello che si sta dicendo la approvo tantissimo. Con Michele abbiamo fatto un grande ragionamento su che voce dare a Diva Futura e quindi a tutti i personaggi. Per quanto riguarda la musica di repertorio abbiamo deciso di seguire l’epoca, in modo da trasportare ancora meglio lo spettatore in questo viaggio. Invece nel caso della musica originale scritta da Michele Braga, lui subito mi ha proposto il jazz: mi ha detto che quando ha letto questa storia e visto la confusione dell’agenzia, questo essere tutti un po’ discordanti ma con un’armonia di fondo, ha pensato a questo genere. Abbiamo fatto delle prove ed io sono stata molto contenta del risultato, che ne raccontava lo spirito sgangherato. Per rappresentare i personaggi la scelta del jazz è stata naturale e coerente con la loro natura.