Così parlò Luca Bizzarri: "Su Schlein mi censuro, su una di destra dico tutto"

La solita faccenda del doppio binario: una caricatura alla santina woke scatena i benpensanti di sinistra, una alla Meloni, magari con minacce esplicite, non disturba nessuno. Anzi, se ne vantano. Tu chiamala, se vuoi, egemonia gramsciana.

L'intrattenitore della Zanzara, Parenzo, quello che ricorda Alvaro Vitali ma senza la verve di Alvaro Vitali, si indigna per una caricatura sulla nuova intoccabile, il santino della sinistra woke, Elly Schlein. Sua moglie, la giornalista Natalia Zevi, non è da meno e trova inaccettabile, vale a dire da proibire, il ritratto della segretaria piddina: carogna, certo, ma non più di altri da Fassino a Giorgia Meloni. Ma qui casca come sempre l'asino: quello che si può (si deve?) fare a qualcuno, va inteso come improponibile per un altro. Di Meloni si è detto e sentito di tutto: “schiena lardosa e svergognata”, copyright Asia Argento, ma in inglese, che sfina, “figa rancida che sa di ricotta”, l'ex brigatista Raimondo Etro, e di qui pesco a caso: vacca, scrofa incinta, lurida, assassina, puttana, troia, da appendere a testa in giù, e i pupazzi bruciati dei kollettivi, le foto segnaletiche nel mirino degli anarchici, la carica delle per brevità chiamate artiste: “mi terrorizza”, Elodie, “mi rompe i coglioni”, Giorgia, “non sei degna di essere chiamata onorevole”, la sempre sobria Bertè, stragista, criminale, delinquente, fascista (ovviamente), schifo dell'umanità, “analfabeta”, “ignorante”, ancora Elodie, dal pulpito della terza media e dell'Università del Quadraro, “mi fa orrore perché io sono lesbica”, Ariete e Madame, la pentita dei vaccini, infame che che vuole i naufragi, reazionaria che proibisce gli aborti (Chiara Ferragni ipse), bastarda (il romanziere regionale Saviano), e un milione di eccetera, da farci una Treccani rognosi, e quindi un mare di caricature, tutte crudeli, come si conviene, e quinci il climax, se ve lo ricordate, di Repubblica, lei, Meloni, a bocca aperta davanti a una penna fallica, insomma una pompineuse: cosa che, una volta tanto, seccò i vertici del partito i quali se ne lamentarono (di solito a destra si prendono di tutto senza fiatare nel terrore di sembrare fascisti) solo per venire presi per il culo dal direttore Molinari: la malizia sta nell'occhio di chi guarda.

Come no, e la satira ha da essere irriverente, come ripete sempre Vauro, che poi aggiunge: una vignetta sull'Islam? Col cazzo, ci tengo alla pelle. Ecco, anche Luca Bizzarri, in fama di comico anche se nessuno ha mai capito in che senso, ci tiene alla pelle, nel senso dell'ingaggio, e al cospetto di Floris si è censurato da solo, rivendicandolo, circa una battuta sulla impronunciabile Elly: “Era greve ma faceva ridere, con una certa disperazione l'ho tolta, alla fine mi son detto: ma perché mi debbo far rompere le scatole?”. Bravo, Luchino, bravo compagno Bizzarri, hai centrato il punto: se tocchi la santina di sinistra ti rompono le scatole, ti fanno fuori, invece “alla Santanché avrei potuto farla e nessuno mi avrebbe fatto niente”. E, va da sé, anche alla Meloni, talmente fascista che passa il tempo a scusarsi di essere viva e a palazzo Chigi; e nessuno, né il comico radiofonico Parenzo, né la sussiegosa moglie, né le varie femministoidi in servizio permanente effettivo, le Murgia, le Littizzetto, le Segre dell'omonima commissione, caso unico nella storia di senatrice a vita che si è fatta fare una commissione speciale per punire chi la “odia”, nessuno ha mai levato un flatus voci, un ditino, un saettare di sguardo per la Meloni infamata (e minacciata) in tutti i linguaggi e con tutti i drappeggi.

Bizzarri è uno di quelli litigiosi sui social: una volta per una bazzecola, una fotina, una frasetta riportata ebbe a querelare una soubrette; su Twitter leoni, da Floris... Bizzarro, un po', questo autodafè condito, par di capire, con l'orgoglio: non c'è una denuncia del clima mafioso nelle televisioni, nei media, risuona più un retrogusto di autocompiacimento, da egemonia gramsciana o da Grande Bellezza: siamo così, facciamo schifo, ma ci piacciamo tanto.

E così, nel giro di poche ore, abbiamo capito quanto segue: bisogna spaccare le telecamere che riprendono i borseggi dei rom; bisogna censurare gli scippi dei rom; bisogna censurare le rapine dei migranti; bisogna censurare gli accoltellamenti dei e tra i migranti; bisogna censurare le caricature di Schlein. Tutto per la famosa democrazia made in PD. “In sostituzione”, come annunciava il critico Guidobaldo Maria Ricciardelli, proietteremo un documentario su quanto è lercia, vacca, rana, trippona, stragista Giorgia Meloni. Apprezzate il montaggio analogico, seguirà dibattito. Sono i tempi che sono, quelli che viviamo, tempi di woke, di cancel culture, di politically correct, in una parola: la Grande Ipocrisia nel Cielo. I nostri genitori sono cresciuti con Vianello e Tognazzi che, nell'Italia mutandona e vaticana, erano capaci di quanto segue. Il presidente Gronchi alla Scala fa per sedersi nel palco reale ma l'incauto de Gaulle gli sposta la poltroncina quel tanto che basta a farlo cascare; due giorni dopo, in “Un, due, tre”, Ugo e Raimondo rifanno pari pari la scena: Tognazzi che frana, Vianello che allude, “ma chi ti credi di essere?”, l'altro, sornione: “Tutti possono cadere”. Neanche il tempo di terminare la puntata che, in camerino, trovano già le lettere di licenziamento in tronco. Passa un anno e la Rai li richiama: abbiamo deciso di perdonarvi, avete qualcosa di nuovo? Vianello: “Sì, effettivamente qualcosa ce l'abbiamo, una cosettina sul papa”, che è il bergamasco Angelo Roncalli, al che Tognazzi, al volo, di puro improvviso: “Mi sun de Bèrghem, porcu...”. Non li hanno chiamati mai più, il sodalizio si sciolse lì. Oggi ci tocca Benigni, il giullare di Mattarella, ci toccano i testimonial piddini con la mascherina, e ci tocca Bizzarri che per vivere tranquillo e in grazia di Piddio si castra la battuta “greve ma divertente” su Elly e dice: ma posso dirottarla benissimo su una di destra. Poi dice che la gente non ha più voglia di ridere.