Sanremo è il festival de l'Unità, ma occupare la Rai non servirà a cambiarla

Troppo inveterato il trash, così come le logiche di potere: la destra adesso vuole lo spoil system per entrare nella gran mangiatoia, ma la Rai o la tieni così o la privatizzi: tertium non datur

Ha vinto Marco Mengoni e tutti sono contenti. Tanto più che era già tutto previsto. Contenti perché ha vinto il migliore, o il meno peggio, con una canzone insignificante ma meno indecente, perché sa cantare, quando non si mette a strafare, perché non è odioso: una popstar che sa di esserlo ma non se la tira più di tanto. Anche se ha già cominciato a stufare col qualunquismo sessuale: dove sono le donne sul podio, dovevano far vincere una donna. Facile, quando ti porti a casa il trofeo e l'indotto! Ma il caro Marco di pelle vestito ha vinto sospettiamo, anche per un altro motivo. Nella Babilonia festivaliera dove tutti inscenavano incularelle e slinguazzate per nulla fluide, Mengoni è uno che non nasconde la propria omosessualità già dai look, curati da non ricordo quale stilista, ma senza le esagerazioni infantili che hanno contaminato questo Festival. Uno che, alla lunga, può ricordare i gay carismatici che l'hanno preceduto, e che può dire: giudicatemi per quello che valgo. Da artista, uno dei pochissimi non supponenti, non pateticamente spocchiosi, da personaggio sessualizzato uno risparmiato dai “meme” velenosi che hanno sommerso la pletora di fluidi e di incerti sopra le righe i quali, lungi dallo stupire, indisponevano come succede con i mocciosi petulanti. Con tutto che in privato sono ancor più insopportabili che nella finzione pubblica.

Fossi stato all'Ariston, avrei assistito a reiterate conferenze stampa rituali, ne ho viste tante in tre anni che ci sono andato e mai mi è salito il prurito della domanda irriverente: di solito, si fanno più per narcisismo personale che per amor dell'arte. La messa cantata coi vescovi della Rai che fanno calare dall'alto la loro verità, menzognera ma unica e indiscutibile, e la plebe dei giornalisti servi che la raccolgono e la diffondono non è il posto giusto per polemizzare. Poi se uno per sbaglio si permette, i colleghi lo guardano come un provocatore, un maleducato, ma che vuole questo, non è pago di star qui a condividere il banchetto per tutta la settimana?

Ma non lo condividono. I giornalisti a Sanremo sono la casta più infame e vengono trattati di conseguenza. Per questo da loro non ci si aspettano domande irrituali ma solo complicità. No, non mi piacciono le domande sparate in mezzo a tutti, però per questa volta un'eccezione forse me la sarei concessa ed è la seguente. Al direttore Coletta, che le carogne politicamente corrette in sala stampa fatalmente hanno soprannominato “culetta”, avrei chiesto: come la spiegate la contraddizione per cui a Sanremo si può parlare di tutto, è un Festival “di contenuti”, di tematiche, come vi piace mentire, però sempre con un certo ritegno, con il dovuto stile in quanto il Festival è uno spettacolo per famiglie trasmesso dalla rete principale del servizio pubblico, e poi costruite una Babilonia sconfortante? Come li mettete insieme il divertimento popolare, l'inno nazionale, il focolare, il perbenismo piccolo borghese con le lisciate e le cavalcate e le lingue in bocca da uomo a uomo, almeno anagraficamente? Ma forse mi avrebbe risposto Amadeus cui dopo ogni bugia non si allunga il naso, con una di quelle frasi che vogliono dire niente: “Non volevamo turbare le famiglie”. Ma certo, e niente era stato previsto, studiato, coreografato prima.

Non sto rivendicando una pruderie di ritorno, da incipiente senilità bigotta, sono il meno indicato per il gioco fariseo del signora mia dove andremo a finire: le stesse, identiche pagliacciate le facevamo già al ginnasio, tra compagni di scuola, le abbiamo tirate in lungo fino alla maturità e ricordo che a quel punto mi sentivo a disagio, pensavo di essere troppo “vecchio” per certe prodezze di cui vantarmi con gli amici, “sai che ci hanno cacciato dal pub, dallo stabilimento balneare, ci hanno insultato e minacciato”. Il sottile piacere del provocatore che si fa vittima. Ma a Sanremo è diverso e si è vista una totale mancanza di riguardo proprio per le famiglie, quanto a dire il pubblico medio, torpido, possiamo dire anestetizzato nel suo conformismo contadino, preindustriale, duro a morire nell'epoca della prostituzione via social. Non ho figli, non ho nipoti, ma avrei sentito anch'io, come non pochi che mi hanno scritto, come una invasione davanti alle ciucciate, ai giocattoli anali, ai ragazzini che chiedevano cosa fosse quel coso, quel cuneo in mano a un cantante e cosa ci facesse il marito della presentatrice a limonare con lo stesso personaggio indefinibile, ma già vecchio.

Non siamo degli ingenui, non veniamo giù con la piena, sappiamo che la pedagogia della Rai si è invertita, oggi parlare alle famiglie, intrattenere le famiglie significa incunearsi nelle famiglie per ingenerare il sospetto, nei più piccoli, che non siano quello che sono, che sentono di essere giorno dopo giorno; è la famosa agenda eurounionista che vuole smontare la testa alla gente e rimontargliela alla rovescia. Proprio in conferenza stampa il ciambellano Amadeus è arrivato a dire che il gender va introdotto nelle scuole, che è una priorità, una urgenza. Come se già non succedesse. Ma è questo il senso, la funzione di una rassegna di canzonette? Sanremo, come tutte le cose fatte dal PD, è fatta male, è inverosimile, staccata dalla realtà sociale cui sostiene di riferirsi e lo è senza un residuo rispetto per chi lo guarda. Adesso la destra del neopotere vuole fare repulisti in Rai, con la scusa di rimediare a certi eccessi punta a mettere a capo della grande mangiatoia uomini suoi. Faccia pure, ma se si illude di risolvere così il problema, va incontro ad amare sorprese, Babilonia è più che altro un sintomo di una Rai inguaribile: o la tieni così o la vendi, ma può la politica dei partiti rinunciare a una simile mangiatoia? E in Rai tutto è greppia: per dirne solo un paio, gli appalti interni, della preparazione dell'evento, restano in mano agli stessi da più di vent'anni, e le maestranze prendono, se va bene, 25 euro a notte, perché le fanno lavorare di notte, senza maggiorazione per il turno straordinario e senza che i sindacati si mettano di mezzo. Anche dal Ciuri, il Cristo mattutino che compie il miracolo ogni volta che pronuncia una baggianata? Sì, anche da lui, anche dal Fiorello tutto baffi e sorrisi sfottenti, che si cucinava il Coletta, “fatti vedere, tanto è l'ultima volta”. Davanti le luci, gli abbracci, i trionfi, dietro lo sfruttamento e le umiliazioni che si riservano agli schiavi come ai tempi delle piramidi. Ma siamo fluidi, inclusivi e costituzionali; ha vinto il bel Mengoni e siamo tutti contenti.