In "Foudre" (fulmine) la giovanissima novizia Elizabeth diventa per tutti il diavolo
Alla Festa del Cinema di Roma, una piccola opera noiosa e senza sostanza vince per la fotografia e riceve due menzioni speciali, una per la protagonista e una come una delle due migliori opere prime BNL BNP PARIBAS. Tutto può veramente succedere!
Recensione
Film in CONCORSO PROGRESSIVE CINEMA, vincitore del Premio speciale della Giuria per la fotografia assegnato a Marine Atlan; menzione speciale della Giuria all’attrice LILITH GRASMUG; menzione speciale come MIGLIORE OPERA PRIMA BNL BNP PARIBAS insieme a "Ramona" di Andrea Bagney
Quando un regista, in questo caso una regista, vuol far sì che il pubblico lo osanni, e forse anche la critica, per aver fatto riprese ravvicinate, ripetute, di un dettaglio della guancia dei personaggi o di un insetto su una foglia e pensa che una successione di ‘quadri’ con una consecutio temporis che, in sala, bisogna intuire a tutti i cambi scena, visto che chi dirige il film non si abbassa a mostrarli, sia sufficiente a chiamare lungometraggio il suo prodotto e, d’altra parte, vince la possibilità di essere invitato alla Festa del Cinema di Roma e poi menzioni e premi, c’è da mettersi le mani nei capelli, anche se si è pelati, e da chiedersi quali siano i veri criteri di selezione. La storia inizia con lo sguardo fisso della giovane protagonista, Lilith Grasmug, cui viene detto che la sorella maggiore è morta. La novizia, cui viene riferito di essere divenuta lei la sorella più grande, torna a casa. Lì ha due genitori e due sorelline, gli uni severi ed emotivamente distaccati, le altre affascinate da Elisabeth e, man mano, sinceramente affezionate a lei, al punto da sostenerla, liberandola da assurde corde che la tengono legata al letto, quando questa viene punita dagli adulti del paese, padre e madre inclusi, per avere allegramente intrattenuto 3 ragazzi tutti insieme, anch’essi sui 19 anni. Facciamo un passo indietro: Elizabeth scopre, cucendo un grande lenzuolo, delle pagine, nascoste fra le cuciture, scritte dalla sorella morta e le legge con avidità; ne viene influenzata fortemente, tanto da volere proseguire il modo di vivere della defunta e incarnarne quelle stesse convinzioni che l'avevano allontanata dalla gente del paese, capace di ghettizzarla e accusarla di essere il diavolo in persona. Proprio per scongiurare questa credenza infondata, Elizabeth inizia a comportarsi come la sorella persuasa di avere scoperto - testuali parole del personaggio - “Dio nella carne”, invece che nell’anima. La regia, ambiziosa, non è riuscita nell’intento di catturare l’attenzione e l’approvazione di un pubblico, quello dell’Auditorium, il cui applauso è stato giustamente calmierato dall’incertezza dell’emozione, se ce n’è stata, provata. Forse, se uno è alla sua prima opera, tanto più se il ruolo che ricopre è quello registico, deve iniziare da una costruzione elementare della storia che andrà a raccontare. Quanto al cast, di conseguenza non aiutato, simbolicamente parlando, dal capitano della nave, non è male, ma la protagonista non è affatto all’altezza degli infiniti primi piani che Carmen Jacquier le dedica nel girato, poiché manca di profondità e, appunto, di una guida. Per l'impegno e la bravura dei giovani attori, aventi a che fare con una sceneggiatura di poco supporto, il voto è la sufficienza: 6.