Vanity Fair vuole apparire dissacrante e innovativo invece è retrò e politically correct
Le copertine no sense e le scelte scellerate del direttore del settimanale manderanno al macero gli anni gloriosi della rivista
Vanity Fair, come la maggior parte dei settimanali cartacei, si trova in affanno con le vendite ma a metterci un grosso carico nel flop editoriale ci pensa il suo direttore che, pensando di fare il bene delle donne e del glamour, inneggia ai diritti conquistati, al politicamente corretto e sforna delle copertine al limite dell’imbarazzo, che non piacciono alle donne e alle stesse protagoniste (ma meglio tacere, una copertina è una copertina). Slogan tipo “Sei bellissima” con in copertina Vanessa Incontrada in carne e frasi riguardanti la famiglia “non tradizionale” con in copertina Chiara Ferragni in veste della Santa Madonna con Gesù in braccio sono l’ennesimo atto di un’editoria allo sbando; peccato che una casa editrice seria come Condè Nast permetta questo. Sapete per chi sono belle e interessanti quelle covers? Solo ed esclusivamente per chi la pensa politicamente e moralmente con il suo direttore, ovvero (e fortunatamente) i pochi che vorrebbero far trionfare il politically correct e che vivono in un mondo fatto di fate, leocorni colorati e brillantini. Purtroppo, quel mondo non esiste e la realtà è davvero più cruda. Basta accendere la tv o guardare lo smartphone! E non si venga a dire che si vuol regalare leggerezza, perché di sicuro questa estrema “gaiezza” è sbagliata per chi la fa e la subisce, compresi gli omosessuali che si sentono presi in giro e mal rappresentati da certi slogan o frasi fatte.
Vanity Fair si sta trasformando, dopo anni gloriosi, parlando esclusivamente dell’Italia, in una rivista che irrita chi non la legge e fa storcere il naso a chi la sfoglia da anni, poiché c’è intrinseca la questione politica, dei diritti, di un mix forzato di cose che rispecchia il volere del suo direttore e non certo dei lettori. Quando accade questo, di solito, il progetto ha vita breve, poiché il vero business lo fanno i lettori comprando (a caro prezzo) Vanity Fair.
L’ossessione di una certa parte politica, del gender, del “corretto” a tutti i costi ha stancato in tv e al cinema, che sono due colossi che macinano milioni di euro, figuriamo per una rivista che (purtroppo) è sull’orlo di una chiusura. Vanity Fair, come tutti i progetti che vogliono essere forzatamente politically correct, non ha capito che questa situazione durerà (fortunatamente) come un gatto in tangenziale.