Referendum abrogativo dell’obbligo di vaccinazioni pediatriche: il punto di vista di un giurista

Contributo in replica all’articolo di Marco Billeci, Referendum abrogativo sulla Legge Lorenzin contro l’obbligo vaccinale per bambini: strategicamente a chi giova?

Il tema del Referendum abrogativo dell’obbligo vaccinale pediatrico, che la c.d. Legge Lorenzin prevede per ben 10 malattie, sta iniziando progressivamente ad attirare attenzione e riflessioni.
Su queste pagine, per esempio, è recentemente apparso un articolo a firma dell’ex Maresciallo Marco Billeci che, pur complimentandosi per lo slogan utilizzato e augurandosi, alla fine, che le sue stesse perplessità si dimostrino non corrette, elenca quelle che risulterebbero le ragioni dell’inopportunità “strategica” della scelta referendaria.
Trovandomi tra i sostenitori dell’iniziativa, ringrazio in primis per i complimenti: #permiofiglioscelgoio rappresenta a detta di tutti, in effetti, la sintesi migliore dell’obiettivo di un’iniziativa che non sarebbe mai stata dovuta essere necessaria in uno Stato rispettoso dei nostri diritti fondamentali e, ovviamente, non posso che condividere l’auspicio finale.
Nel mezzo, però, mi corre l’obbligo di esaminare con attenzione le osservazioni critiche o negative nei confronti della proposta referendaria, per evidenziarne gli aspetti che non risultano convincenti.
Appare in realtà decisivo evidenziare che, la lettura critica che si suggerisce con riguardo alla strategia di chi sta portando avanti questo progetto, si sviluppa in maniera sostanzialmente decorrelata dal contesto nel quale ci muoviamo concretamente.
Tutti gli attuali sostenitori e promotori del referendum hanno, nel recentissimo passato, combattuto con le armi del diritto, della penna e della disobbedienza civile l’incredibile vicenda antidemocratica che gli italiani si sono trovati a subire relativamente alla gestione della crisi sanitaria da Covid secondo, per di più, le modalità più gravose e penalizzanti rispetto a quelle coinvolgenti i cittadini delle altre nazioni democratiche.
Queste attività di vera e proprio resistenza, però, non sono affatto terminate né hanno concretamente raggiunto l’obiettivo minimo del ritorno ad una, quanto meno, accettabile situazione di recupero delle libertà di base in materia di cura e scelte relative.
Purtroppo, allora, il primo difetto dell’intervento sul tema referendario cui qui si replica è costituito dal dimenticare o tralasciare di prendere in considerazione un fondamentale dato di fatto: nulla di concreto è stato fatto, nessuna decisione istituzionale di alcun genere è stata presa per fornire una garanzia accettabile che quanto avvenuto negli ultimi quattro anni non abbia a ripetersi.
La circostanza che oggi non ci venga chiesto il green pass, ed il sottostante trattamento sanitario, per andare al cinema, al ristorante o a lavorare non deriva in alcun modo da una presa di coscienza diffusa, condivisa e resa pubblica, circa il fatto che quanto avvenuto ha determinato un radicale svuotamento dei principi costituzionali ed una gravissima compressione dei diritti fondamentali.
Avviene piuttosto perché, inutile nasconderlo, una risposta molto ferma di una parte minoritaria ma assai decisa della cittadinanza ha continuativamente insistito nell’opporsi a certi comportamenti e a segnalarne in tutti i modi l’inaccettabilità democratica.
Nonostante questo, peraltro, ci troviamo comunque in un contesto in cui: giungono continue notizie di vessazioni scientificamente ingiustificate e giuridicamente inaccettabili compiute in strutture assistenziali su tutto il territorio nazionale; l’assoluta maggioranza delle corti di giustizia continua a negare dati scientifici oggettivi; numerosissimi rappresentanti delle istituzioni, della cosiddetta informazione e del mondo sanitario insistono, non accettando mai il confronto pubblico, ad utilizzare terminologia offensiva e discriminatoria verso chi ha manifestato comportamenti ed opinioni già di per sé giuridicamente legittimi e scientificamente giustificati quattro anni fa, quanto oggi di fatto riconosciuti come tali da un’imponente ed ulteriore messe di dati.
Rispetto a questa situazione all’interno dei nostri confini e senza diffondermi su quanto sta avvenendo in altre realtà nazionali europee ed extra europee, non si può però non considerare il cambio di leadership in corso di perfezionamento negli Stati Uniti dove, per limitarsi necessariamente allo spazio disponibile, solo con l’approvazione della corposa relazione della subcommissione del Congresso americano sulla gestione della questione Covid si sono stabilite come acquisite circostanze che, se fossero idoneamente rese pubbliche qui da noi, dovrebbero terremotare tutte le istituzioni con buona pace della nostra, quasi carbonara Commissione Covid bicamerale che, secondo tradizione, si comporta come se le accennate acquisizioni non ci riguardassero.
Si citano per brevità, ma ritenendole sufficienti, quelle per cui i centimetri di distanziamento sociale imposto non avevano alcun razionale scientifico, i lock down (in italiano da tradurre come “arresti domiciliari”) hanno causato danni maggiori del Covid, l’uso indiscriminato dell’obbligo di mascherine era ingiustificato e pericoloso per la salute nonché, infine, dai primi di Agosto del 2021 il Centro americano per il controllo delle malattie (CDC) aveva dichiarato pubblicamente che i prodotti chiamati “vaccini contro il Covid” non avevano alcuna capacità di fermare la diffusione del contagio ma, al più, una limitata capacità di ridurre le conseguenze peggiori della malattia per chi le assumeva.
Vagliare la proposta di abrogazione dell’obbligo vaccinale pediatrico, attraverso lo strumento costituzionale del Referendum di cui all’art. 75, ignorando gli aspetti appena delineati appare, necessariamente, una evidente sottovalutazione strategica di quella che è una decisione che non ha alcunché di episodico, irrazionale o arrangiato.
Essa, esattamente all’opposto, s’inserisce su un contesto civile totalmente sconvolto dal periodo vissuto e non terminato, che ha saputo realizzare una notevolissima attività di raccordo e comunicazione, che mai prima d’ora era esistita in Italia su tematiche sanitarie e che, nell’ambito di continue e inesauste attività di diffusione di informazione e opposizione, si caratterizza per mirare a proteggere quanto di più sacro dovrebbe avere un popolo che benefici di norme come quelle che, sulla carta, vigono in Italia: la libertà di scelta e di cura dei nostri figli.
Ridurre tutto, cioè, come avviene nelle considerazioni che si sindacano, alla preoccupazione per cui, la ben nota “scarsa cultura” degli italiani in materia di libertà individuali e la loro assoggettabilità quasi acritica ai diktat governativi in materia non possano che portare ad un fallimento del referendum per astensione, disinteresse o, peggio, voglia di subire imposizioni, trascura gravemente la circostanza che, forse, questo è il momento storico dove maggiore e più diffusa in assoluto è la sensibilità raggiunta su questi temi.
Se non ora quando? Verrebbe piuttosto da dire, ricordando comunque che alcuna iniziativa come quella che qui si difende possa iniziarsi con la certezza (data da chi poi?) di concludersi con un successo.
Ed inoltre, quanto appena scritto non esaurisce i fondamentali elementi specifici del momento in cui ci si muove.
L’attuale “finestra referendaria”, infatti, prevede che un’eventuale votazione non si svolgerebbe prima della primavera estate del 2026 nonché, stante le nuove norme vigenti in materia, consente che le firme possano raccogliersi anche on line in maniera totalmente gratuita facilitando, oggettivamente, il raggiungimento delle 500.000 sottoscrizioni.
Senza allora entrare in una serie di considerazioni specifiche sul contenuto e la ratio dei singoli quesiti referendari, relativamente ai quali chi scrive, insieme a molti colleghi, si è già speso e continuerà a spendersi in questi mesi, si vuole però sottolineare l’ampio spazio di tempo a disposizione, che consente di svolgere una quanto più capillare possibile attività di sensibilizzazione e informazione, attraverso tutte quelle piattaforme che tanto hanno contribuito a diffondere razionalità e consapevolezza in questi anni (laddove, certo, non decidessero di opporsi per ragioni che difficilmente non potrebbero non qualificarsi come di appoggio, di fatto, alla normativa Lorenzin, che hanno sempre dichiarato invece di osteggiare).
Il medesimo spazio temporale, poi, sembra decisamente permettere che le iniziative che si annunciano dall’al di là dell’Atlantico proprio, guarda caso, in tema di obbligatorietà delle vaccinazioni pediatriche, si realizzino nella medesima direzione qui auspicata, con necessaria influenza sulle scelte nazionali.
Si vuole, cioè dire che, nessuno di noi si dispiacerà di certo se, durante l’intensa attività di promozione di questa iniziativa, dovessero concretizzarsi le condizioni “politiche” idonee a spingere i nostri governanti a rendersi conto che l’attuale assetto dell’obbligo vaccinale pediatrico, oltre che a costituire un sostanziale unicum tra le nazioni europee (dove, per dire, gli alti tassi di copertura vaccinale si ottengono attraverso le raccomandazioni ed il dialogo tra sanità e cittadini), merita una correzione che elimi una compressione antidemocratica, ingiustificata e discriminante dei diritti dei genitori rispetto alla possibilità di scegliere come curare i propri figli.
Se così non fosse, oggettivamente, la paventata “disfatta” referendaria, certamente causata solo da un’insufficiente presenza di votanti, non si vede in quale modo potrebbe peggiorare la situazione attuale che, è sotto gli occhi di tutti, sembra manifestare nei desiderata espliciti delle organizzazioni internazionali e di quelle sanitarie italiane, al momento in cui si scrivono queste righe, nient’altro che un continuo incremento di attività terapeutiche obbligatorie o suggerite fortemente ai cittadini contro cui, lo si ripete e per le ragioni sopra esposte, questo sembra un momento decisivo per provare ad opporsi anche con la via referendaria.

Di Prof. Avv. Gianfrancesco Vecchio, docente di Diritto Privato presso l’Università di Cassino e del Lazio Meridionale.