Governi e spesa sanitaria, il CEO di Sanofi Hudson: "L'Europa sta perdendo la corsa al farmaco"

Hudson: "Vecchio Continente sta per dire addio alla «sovranità nell’innovazione» a vantaggio di Usa e Cina; non arrivano prodotti più efficaci ma pagare prezzo più basso unica preoccupazione"

Sanofi ha annunciato un importante accordo conOpenAI e Formation Bio.


Con quale obiettivo?


«Quattro anni fa abbiamo deciso che saremmo stati la prima azienda nel
nostro settore che usa l’intelligenza artificiale su larga scala — risponde
Paul Hudson, amministratore delegato (inglese) del colosso francese della farmaceutica —. Abbiamo deciso di collaborare con OpenAI e Formation Bio, un’azienda del biotech virtuale che cerca di rivoluzionare l’industria farmaceutica alzando le probabilità di successo grazie ai large language models dell’intelligenza artificiale nei farmaci, il 90% dei quali fallisce nella fase uno della ricerca e sviluppo e il 32% nella fase tre, dopo aver investito due o tre miliardi di dollari. Grazie ai large language models, possiamo far salire le probabilità di successo. OpenAi può aiutarci in questo».


Come funziona?


«L’intelligenza artificiale può aiutarci a capire come modificare la struttura
di una molecola per curare una malattia e a progettare studi clinici nel modo più efficiente. I dati sono troppi perché un umano possa gestirli, ma i large language models lo fanno. L’AI può anche scrivere i documenti che
inviamo all’Agenzia europea per imedicinali, corretti al 95%. Quindi le nostre persone, con la loro esperienza, potranno migliorarli. Ciò dovrebbe
accelerare il time-to-market e ridurre i costi, permettendo prezzi più basso. Con l’AI possiamo cambiare radicalmente la medicina».


Intanto l’Europa vive una scarsità di antibiotici e altri farmaci. Abbiamo problemi di fornitura con Cina e India?


«Alla ricerca da anni del prezzo più basso possibile, i paesi dell’Unione
Europea hanno reso insostenibile la produzione di medicinali essenziali in
Europa. Abbiamo e avremo problemi di fornitura da Cina e India, che producono a costi inferiori con criteri diversi. Se la Food and Drug Administration americana dice loro che devono modernizzare una fabbrica, loro la chiudono. Non vogliono spendere. E quando accade, l’Europa esaurisce le scorte. Allora i ministri europei mi chiamano e mi chiedono perché non riescono a procurarsi dei farmaci».


E lei cosa risponde?


«Che compravano certi farmaci a basso prezzo dall’India o dalla Cina, e
quando quelle decidono di non produrli più, finiscono. Poi mi chiedono
di produrre noi quello che manca. E io cerco di spiegare che ci vogliono cinque anni per costruire una fabbrica adatta».

I governi occidentali dicono che la Cina non si sta comportando in modo corretto.ù


«In Europa non si capisce che un’azienda cinese può decidere di produrre un farmaco diverso, che rende di più. È business. Ma i cinesi sono molto avanti rispetto all’Europa nel pensare alla sovranità e alla resilienza. Producono farmaci al prezzo più basso possibile, quindi l’Europa li ordina. Ma se decidono di non farli, non li fanno e basta. Dobbiamo anche considerare che vent’anni fa un farmaco innovativo
su due nel mondo veniva dall’Europa. Ora la Cina ha superato l’Europa
per numero di articoli scientifici pubblicati su riviste come Nature o
Lancet. Conduce più attività di sperimentazione clinica degli Stati Uniti e
ne fa il triplo dell’Europa: la Cina è leader nella sanità digitale, nella produzione di laureati Stem. E potrei continuare»

.
Allora perché non si aumenta la produzione di farmaci in Europa?


«Il prezzo che molti governi europei vogliono che facciamo pagare loro sia
inferiore a quel che costa produrre quegli stessi farmaci in Europa. Vogliono che applichiamo standard e qualità del lavoro di livello europeo, il che comporta un prezzo premium. Ma non vogliono pagare quel prezzo».


E lei cosa consiglia?

«Dobbiamo garantire la produzione e fornitura di un terzo dei medicinali essenziali in Europa. Anche se il costo medio per l’acquisto di un medicinale potrebbe essere leggermente più alto. Ma avere una produzione continua in Europa farebbe sì che la capacità produttiva
esista e possa aumentare se necessario. Ma se si trasferisce il 100%
della fornitura all’estero, un rischio c’è».


Teme che il protezionismo e il nazionalismo economico possano danneggiare il mercato globale dei medicinali?


«Il protezionismo, ovviamente, preoccupa. Ma la nostra attività è forte se
inventiamo farmaci per malattie che oggi non hanno cura. Eppure metà dei medicinali approvati dall’Agenzia europea per i medicinali non sono disponibili per i pazienti europei. Persino l’accesso ai farmaci e ai vaccini innovativi di oggi, i medicinali essenziali di domani, è sempre più difficile in Europa».


Per la scarsità dell’offerta?


«No, perché i governi dell’Unione europea non sono propensi a pagare per
le ultime cure contro il cancro, o per le ultime cure immunologiche, o per
l’ultimo vaccino antinfluenzale».


Dunque per un vincolo sulle finanze pubbliche?


«C’è sempre un vincolo sulle finanze pubbliche, ma la spesa farmaceutica
rappresenta normalmente circa il 10% della spesa sanitaria totale. L’Italia attira più investimenti da parte di aziende aziende estere nella ricerca e nella produzione di quanto spenda in medicinali. In un mercato importante come l’Italia o la Francia, ogni euro speso in medicinali
genera tra i due e i sette euro nell’economia. Si insiste molto sulla sovranità sanitaria, ma in Europa non si parla di sovranità nell’innovazione».


Vuole dire che l’Europa è in ritardo nell’innovazione farmaceutica ma non sembra rendersene conto?


«E la situazione sta peggiorando. La Ue non sembra avere molto interesse a mantenere la sovranità sull’innovazione nel settore sanitario. Gli Stati Uniti hanno gran parte del venture capital e della ricerca. La Cina ha un piano a dieci anni e sta investendo per far tornare gli scienziati nel Paese a scoprire medicinali. Né l’una né l’altra superpotenza vogliono affidarsi ad altri per la loro sovranità nell’innovazione. In Europa invece non c’è interesse. Si cerca solo di ridurre le spese. Non sono passati
molti anni da quando il 50% dei nuovi farmaci nel mondo veniva sviluppato in Europa. Adesso è il 14%. Un altro decennio e sarà al 4%. Nel frattempo il 50% dell’innovazione globale nel campo dei medicinali non raggiunge i pazienti in Europa, ma i governi si preoccupano della disponibilità del paracetamolo al prezzo più basso possibile. È una tragedia che nessuno conosce perché non te ne accorgi, se non sei un paziente».

Fonte: Corriere della Sera Economia