Vaccini e malattie, anche i "vip" si ammalano ma non escono allo scoperto. Mai. Cosa hanno da coprire?

Non si contano più le patologie cardiache e le forme tumorali "rarissime e improvvise": ma più la vittima è conosciuta e più ci gira intorno, la butta sul fatalismo, abusa nella retorica. E la cosiddetta informazione si guarda bene dal fare le uniche domande che avrebbero senso

Dire troppo per non dire niente, riempire lo spazio per non spiegare, disinformare per non spiegare. Così va il gionalismo nell’epoca del Covid. Tathiana Garbin, ex campionessa di tennis, poi allenatrice della Nazionale femminile, subisce due interventi in pochi mesi a seguito di un cancro ostinato quanto inspiegabile e improvviso: lo racconta ma di fatto rinuncia ad ogni chiarezza, insomma sta al gioco. Il gioco è quello del Messaggero, che la intervista, ma potrebbe essere qualsiasi testata del regime vaccinale. Il tono è patetico, vira sul coraggio da leone (quando si ha un male brutto non è questione di coraggio ma di cure e di fortuna: si è completamente alla mercé e non si può fare altro che obbedire, parola di chi ce l’ha), sulla retorica dei cuori vicini, della “tempra d’atleta”, ed altre cazzate da Libro Cuore pubblicato dalle edizioni Pfizer. Le domande sono sconce, sono non-domande: “Uno scambio di forza tra maestra e allieve: è stata questa la chiave della partita?”; oppure: “Ha detto che le sfide non si scelgono. Quindi non crede in un destino individuale, Tathiana”. Inutile cercare spiragli: non ci si schioda dall’omertà condivisa dalla stessa vittima, che ammette: il mio è un cancro rarissimo, un caso su un milione, ma evita accuratamente di porsi le poche domande inevitabili; e così nessuno gliele chiede e tutto rimane nel calderone della fatalità e della “resilienza”.

“La mia è una malattia molto rara: non posso pensare che il fato non giochi un ruolo. E ha colpito me che, da atleta, mi curo tanto: dal sonno all’alimentazione, non ho mai lasciato nulla al caso. Eppure. La prevenzione è fondamentale, l’ho sempre fatta, se sei ben preparata puoi superare tutto. Il mio sport mi aiuta tanto. Anche a livello mentale: cerco di riportare tutto a un match di tennis. Però il dolore inenarrabile del sondino inserito da sveglia e la perdita secca di dieci chili di peso non hanno paragoni».” Formule vacue, luoghi comuni, la prevenzione, la fatalità. Senonché questo “pseudomixoma peritonei, il tumore che origina dall’appendice e che colpisce una persona su un milione” è un cancro quasi inspiegabile in una atleta: nessun sospetto, niente da dichiarare? “Mi hanno tolto anche la milza e non ho gli anticorpi che il mio fisico dovrebbe produrre. Incontro i parenti con la mascherina, però la situazione richiedeva massime precauzioni. Quindi ho trascorso il Natale con mia moglie Ylenia, la mia famiglia, la persona che è rimasta sempre con me anche nei momenti più difficili, quando la sofferenza ti toglie qualsiasi lucidità”. Benissimo: così anche la quota gender del presepe retorico è soddisfatto e ci si può celebrare con metafore tennistiche, “siamo sul 5-5”, tutta roba che non serve alla comprensione. Le domande che un giornalista avrebbe dovuto porre sono semplici e precise: quante dosi di vaccino Covid? Dopo quanto l’insorgenza? Esiste una possibile correlazione? I medici che dicono? Tu che ne pensi?

Invece Tathiana dice che ha scelto di uscire allo scoperto, ma, di fatto, senza fare nessuna chiarezza. Io, affetto da un linfoma provocato dal crollo del sistema immunitario, e che origina anticorpi malati, ho adottato la strada opposta: raccontarmi sì, ma senza nascondere niente delle mie perplessità, delle combinazioni, delle dinamiche che trovano puntuale riscontro in ciò che oncologi, virologi seri, ematologi sostenevano e mi spiegavano in tempi non sospetti: il siero che penetra, le modificazioni genetiche, la proteina spike che circola, l’aggressione al sistema immunitario, le conseguenze. L’ho fatto sapendo benissimo cosa mi sarebbe successo: attacchi concentrici da chi mi vorrebbe morto e alla svelta, pur di non attaccare il sacro vax, pur di non sentirmi insinuare sospetti che turbano anche loro. Una su X ha insistito a lungo, insinuando, provocando, alla fine si è arresa: “Forse mi ammalerò anch’io, visto che sono plurivaccinata”. Voleva essere ironica, ma affiorava la preoccupazione. Io non posso pensare che sportivi, divetti dello spettacolo, gente comunque conosciuta, scopertasi gravemente malata, sia così vile da tenersi per sé ogni certezza. Non ce n’è uno che arrivi ad ammettere ciò che è inevitabile provare, che sarebbe disumano escludere a priori: le tre, le cinque dosi, l’improvvisa e repentina insorgenza di una forma maligna, e il dubbio atroce: non è che è successo anche a me? Non li leggono gli studi, sempre più presenti, sempre più decisivi? Non le vedono le statistiche, sempre più alluvionali, sempre più globali? Possibile che milioni di casi restino milioni di coincidenze?

La viltà di tacere in gente famosa che lotta per la vita, che attualmente non ha altro da vincere né da perdere, è stupefacente. Che cosa gli hanno promesso? Che cosa sperano di guadagnarci? Dicono che si raccontano per infondere coraggio, ma quello che fanno è confondere il coraggio. È spingere altri ingenui e malcapitati sulla loro stessa strada, che è una strada di dolore, disperazione, un calvario di luci al neon. No, loro abusano in metafore sportive, in fatalismo. E in spiegazioni deliranti, offensive per la logica, per la scienza e per la dignità: “Mi hanno scoperto un rarissimo tumore fulminante a 70 anni, ho fatto 5 dosi in un anno ma il vaccino non c’entra, i medici che me l’hanno consigliato mi hanno spiegato che mi è venuto perché non facevo ginnastica da bambina”. Di sicuro a tutti queste vittime reticenti nessuno augurerà di morire a dispetto delle cure, delle chemio micidiali, della disperazione notturna, di quel fluttuare in una terra di nessuno, scandita da luci al neon.