Djokovic l'infame continua a vincere e il sistema si ammala
Dove sono adesso quelli che, dopo il rifiuto di vaccinarsi contro il covid, auguravano al campione serbo le peggiori disgrazie, lo irridevano, lo insultavano, "fallo adesso il grande slam, fenomeno"? Lui l'ha fatto, per la 24ma volta, loro si nascondono.
Vincere sempre ti rende divino ma a lungo andare esecrato: non può andargli sempre bene, maledetto. A maggior ragione se uno vince senza assecondare anzi sfidando apertamente il sistema, che c’è e si intende per il coacervo di forze, politiche, mediatiche, scientifiche, tecniche, messe insieme dalla pubblicità e orientate non più ai processi decisori che hanno scandito l’evoluzione dello stato nei due secoli trascorsi, ma, definitivamente, il business; gli affari globali, giganteschi e stragistici che fa più elegante definire la grande finanza. Djokovic, il serbo, è il vincente più odiato di tutti i tempi: ha rifiutato di invecchiare, ha rifiutato il vaccino, continua a trionfare, sale e scende dal trono tennistico ma alla fine è sempre lui il sovrano. Quello da battere. Quello da odiare. Il sistema è regressivo, gli piace definirsi scientifico, percepirsi a un grado elevatissimo di sofisticazione tecnica e scientifica ma la sua fame di guadagni unita alla disinvoltura fuorilegge del post liberismo lo ha riportato ai tempi delle profezie, agli anatemi, alle grandi maledizioni e alle grandi pestilenze con relativi sistemi magici, esorcistici per uscirne. Djoko, il numero uno, dimosta che questo sistema è battibile li fa inorridire, come fece l’ex campione Gianni Rivera con Bruno Vespa, scandalizzato chierico vaccinale: “Dicono che quella roba faccia male, va bene, farà male a pochissimi, come dite, ma se tra quei pochi sono io la cosa non mi fa per niente contento”.
Il serbo ha fatto qualcosa di simile e hanno provato a zittirlo, anche se lui non riteneva di tornarci sopra, “never complain, never explain”, decisione presa, personale, morta lì. Ma i propagandisti di sistema lo stanavano, andavano a provocarlo, annunciavano per lui imminente e inevitabile morte sportiva. Le federazioni sportive, i grandi circuiti, i grandi tornei, non essendone così certi, preferivano agire alla radice, gli impedivano di giocare e meglio ancora di metter piede nei paesi organizzatori in fama di balordo, di criminale, di eretico. Ma l’appestato, il provocatore appena poteva tornava a giocare, a vincere. L’ultima impresa, pochi giorni fa, il 24mo slam agli Open degli Stati Uniti, che lo ha riportato in cima al mondo a 36 anni, è stata troppo, davvero troppo: questo non muore, non invecchia, non si ammala, non perde un colpo: c’è mezzo mondo che lo aspetta al varco di una lapide, e il serbo niente, non ascolta, anzi li zittisce.
Dove stanno adesso quelli che lo insultavano nel modo rozzo, infantile che li contraddistingue, i personaggi di insostenibile leggerezza piazzati nella sarabanda giornalistica, lo Scanzi “figura di merda definitiva, planetaria”, la degna ex compare Lucarelli, “Djokovic senza faccia, arrogante che ha tentato di ignorare le regole contando sul privilegio”? Sono solo due esempi tra i più mediocri, i più imbarazzanti, ma c’è tutto un circo che sbava, che si ammala per uno che avrebbe violato regole non scritte, decise da entità misteriose, dimostratesi, quelle sì, deliranti e disastrose. Djokovic voleva solo giocare, non voleva sierarsi, non ha fatto alcun proselitismo, non ha fatto le campagne ortodosse di tanti suoi colleghi che oggi, dopo 3 dosi, non riescono a tenere in mano la racchetta (vero, Berrettini?), non ha detto a nessuno cosa fare, non si è posto quale documento di coscienza collettiva: semplicemente non ha ceduto su determinate convinzioni, se non princìpi. Si chiama coerenza.
Scanzi è uno passato dal negare il Covid (“Non esiste, porca di quella puttana, è un raffreddore, io devo fare teatro”) ad allinearsi alla forsennata propaganda messa in atto dal governo grillino di Conte, fino a saltare la fila per vaccinarsi augurandosi di “veder cascare come mosche i novax mentre mi riempio di birra e popcorn”; l’altra, la Lucarelli, si appellava alla Beata Vergine, nientemeno: “Madonna come vorrei vederli [i novax] disciogliersi in poltiglia verde”. Ecco, qui si aprirebbe un altro tema forse troppo articolato in questa sede: limitiamoci ad osservare che la persistente presenza di simili personaggi in tutte le televisioni, dopo uscite di questo tenore, ha in sé qualcosa di immorale. Qualcosa che le logiche di sistema, gli impresari che fanno da cerniera fra televisione e politica, le relazioni pubbliche, la tendenza a distribuirsi in clan mediatici attorno a questa o quel conduttore, spiegano fino a un certo punto. Sta di fatto che il processo di influencerizzazione, che brutta parola, di tutti gli agenti sociali, di tutte le categorie attive, politici, scienziati, elementi dell’informazione pubblicitaria, del gossip, del sottopotere, ha permeato tutto trascinando a livelli impensabilmente bassi qualsiasi attore della recita. Ossia il sistema. Oggi chiunque sfrutti una ribalta lo fa seguendo logiche tipicamente autoreferenziali, prescindendo da qualsiasi dimostrazione di talento, di valore, torna, potenziata, la cara vecchia regola di Oscar Wilde, “male o bene, purché si parli di me”. Male, più che altro, malissimo. Sono un po’ tutti come Morgan che si conosce più per le dipendenze e la protezione di Sgarbi che per la più pallida traccia di consistenza artistica: “Tacete, stronzi, io sono un genio”,
Con buona pace della tivù di qualità vagheggiata dal giovane Berlusconi, che subito, all’inizio del nuovo corso, come a smarcarsi dal retaggio del fondatore, si ritrova in casa programmi edificanti dove si discute, testualmente: della lunghezza del cazzo dei cinesi, di quella degli africani, di pompini, di sborrate; e si va a scavare nelle solite morbosità pedofile di Caivano, nelle corna altolocate di Torino, ma sentiamo adesso cosa ha da dire il chirurgo trans amico di Corona. Puoi anche cambiare il pentolone ma se gli ingredienti restano quelli la sbobba resta la stessa ed è sbobba dovunque la assaggi, in qualsiasi trasmissione all’interno del singolo circuito pubblico o privato che sia. Tanto sono tutti uguali, prova ne sia che si riciclano i volti noti in un va e vieni che ricorda molto il trasformismo politico e difatti ne è figlio. Volti noti per i quali il gettone di presenza improvvisamente non odora più “di mafia”, come sostenuto per anni.
Il sistema è questo e la situazione è questa: inutile stupirsene. Djokovic però non può continuare a vincere, a trionfare così. Lo ha detto Lucarelli, lui è un arrogante, deve pagarla; lo disse Scanzi, “fallo adesso il grande slam, fenomeno”. Fenomeno davvero. Anche Scanzi, a modo suo, anche se nessuno ha mai capito di che, ma questi sono catafratti, come i climatologi, come i virologi, come le figure istituzionali, come i vertici politici, per dire quel sistema che non sapeva e garantiva, poi ha saputo e ha taciuto, infine ha saputo e ha mentito. Mi sono appena sentito diagnosticare un mieloma e il medico curante, per tranquillizzarmi, mi ha detto: “Non esiste al mondo persona sotto gli 80 anni che non sia destinata ad ammalarsi di queste e di altre cose: troppi i fattori patogeni, troppe le matrici aggressive”. Come a dire che ci siamo allegramente costruiti un mondo malato, che ci ammala, ci stermina, non si sa se per lucido disegno o per semplice avidità incontrollata. Prima c’erano le guerre, adesso i “fattori aggressivi”. Ma quando io, sgomento, dicevo ai medici dell’ospedale che era stato il vaccino, che da allora non ero più lo stesso, tutti o staccavano lo sguardo o mi guardavano fissi, senza parlare, per dirmi ciò che non mi potevano dire.