Al via gli Stati Generali della Natalità, inizia la terza edizione. De Palo: "Tema che riguarda salute economica e sociale del Paese"

Si apre oggi all'Auditorium della Conciliazione a Roma la terza edizione degli Stati Generali della Natalità. Presenti i più importanti volti della politica italiana

Si apre oggi all'Auditorium della Conciliazione di Roma la terza edizione degli Stati Generali della Natalità. Presenti i più importanti volti della politica italiana

Al via gli Stati Generali della Natalità, inizia la terza edizione.

Il presidente della Fondazione per la Natalità Gigi De Palo apre i lavori della terza edizione degli Stati Generali della Natalità dal titolo 'Sos-Tenere#quota500mila', in corso all'Auditorium della Conciliazione di Roma con un discorso che tocca diversi temi.

"Alla terza edizione degli Stati Generali della natalità nessuno può dire di non conoscere il tema e le sue sfide per questo voglio fare sfatare alcuni miti che circolano nelle nostre teste e non aiutano a vedere la questione della natalità nella sua realtà. Il primo: La natalità è un tema di parte che riguarda chi ha una certa visione della società.
Falso: la natalità è un tema che riguarda la salute economica e sociale del Paese. Non c’entrano i valori o gli schieramenti politici, ma cosa accade nel presente e cosa accadrà nel futuro a tutti noi, nessuno escluso. Un dato su tutti: siamo al record negativo di 339 mila nascite a fronte di 700 mila morti.
Se non cambia qualcosa, tra qualche anno, crollerà tutto. Le aziende? Già oggi fanno fatica a trovare lavoratori, figurarsi tra qualche anno. Il Pil? Se non ci sono lavoratori chi produrrà ricchezza? Media? A che serve la digitalizzazione se non nascono più nativi digitali? Lo sport? Da un paio di anni il commissario tecnico della nazionale italiana Roberto Mancini lamenta il fatto che in Italia ci sono pochi attaccanti. È così: se nascono meno bambini diminuisce la possibilità di scelta.
Le banche? Le scuole? L’Italia oggi stabilmente all’ottavo posto come potenza economica del mondo se non inverte la rotta tra una ventina d’anni crollerà al 25º posto. Natalità ed economia sono strettamente collegate.
Senza contare che la nascita di un figlio migliora anche la qualità della nostra cittadinanza: una società più anziana ha come effetto non solo quello di minore forza lavoro, ma anche di minore forza creativa e innovativa. E questo sta incidendo e inciderà sempre di più sulla qualità della vita di tutti, a qualsiasi schieramento apparteniamo e qualsiasi siano i nostri valori di riferimento.
Il secondo: Non è una questione culturale, ma di aiuti concreti. C’è chi dice “nel dopoguerra c’era povertà, ma facevamo più figli”: è vero, ma quella era una società completamente diversa da oggi. C’erano le piazze, gli spazi comuni, le famiglie immerse in reti sociali ravvicinate. Condizioni sociali, economiche e lavorative molto differenti dalla società digitalizzata attuale.

Oggi abbiamo nuclei familiari più piccoli e isolati, il gender gap che non facilita le donne nel mondo del lavoro, la mobilità territoriale e professionale, la crisi abitativa nelle medie grandi città. Che non sia una questione di mancanza di volontà degli Italiani, ce lo dice l’Istat: il numero medio di figli per donna oggi è di 1,24, nonostante il desiderio dichiarato sia quello di metterne al mondo almeno 2,4.
Desiderio che si spegne negli anni a mano a mano che i giovani si scontrano con le condizioni economiche e sociali avverse.

Quello che fa più male della situazione demografica italiana e che il desiderio di un popolo non trova soluzioni concrete nelle politiche dei governi. E uso il plurale perché sono circa quarant’anni che non cambia nulla.
Non dovremmo dormirci la notte davanti a questo desiderio di due figli per donna in contrasto con il tasso di natalità all’1,24. Perché questo ci mostra che la soluzione all’inverno demografico l’abbiamo in casa, ma non sappiamo come realizzarla. Lo 0,76 che manca si chiamano sogni e desideri di un popolo che l’Italia non riesce a realizzare. Che peccato.
Gli aiuti opportuni, come insegna la Francia e altre democrazie avanzate, possono portare le persone di seguire i loro desideri. Si tratta di rimuovere ostacoli, non di inventare cose complicate.
 Il terzo è: È un problema che riguarda chi ha famiglia e chi è giovane, non è di tutti.
"Chi fa figli se ne occupi, cosa c’entro io che sono single o non ho intenzione di avere una famiglia in senso classico?”. È una prospettiva ingannevole. La libertà e l’autonomia di scelta di ognuno sono subordinate alle condizioni della società in cui si esercitano.

Per creare condizioni di libertà individuale c’è bisogno di benessere, cioè di un rapporto equilibrato tra giovani e anziani, popolazione produttiva ­– con il suo portato di risorse creative e innovative – accanto a popolazione più avanzata nell’età portatrice di esperienza e saggezza. Il nostro sistema produttivo e di welfare (le pensioni, i sussidi, l’assistenza sanitaria e i servizi pubblici), ma anche quello culturale e sociale, dipende dal ricambio generazionale che permette il funzionamento equo e inclusivo di una società sviluppata, in crescita, democratica e libera. Perché i figli di domani, quelli che non stanno nascendo oggi, non pagheranno l’assistenza sociale, quella sanitaria o quella previdenziale solamente ai loro genitori, ma anche a chi non ha voluto o non ha potuto mettervi al mondo.
Meno figli vuol dire maggiori costi, più esclusione sociale e minore esercizio della libertà individuale.
 La quarta è: “Meno siamo meglio stiamo: c’è la sovrappopolazione, se diminuisce la natalità staremo tutti meglio”. È falso: perché nei paesi occidentali non funziona come in quelli in via di sviluppo. Da noi meno nascite significano solo invecchiamento della popolazione e non riduzione del sovrappopolamento. Significa squilibrio generazionale e impoverimento delle risorse innovative.

In una parola: meno siamo, più invecchiamo e ci impoveriamo. Da questo punto di vista c’è una fake news collegata, quella che vede i migranti come soluzione al problema. È vero che forze giovani che arrivano dall’estero sono una ricchezza quando ben gestite per garantire possibilità di lavoro.

Ma i dati parlano chiaro: i flussi non riusciranno mai a riparare il gap intrinseco di una società che non si rinnova in sé e invecchia ai ritmi del nostro paese. L’immigrazione regolata e ben gestita è una priorità per il nostro paese, ma non rappresenterà la soluzione alla questione della natalità.
Superare queste visioni distorte ci mette nelle condizioni di pensare concretamente a cosa si può fare: ascoltare e incoraggiare il desiderio dei giovani che vogliono figli, quindi rimuovere gli ostacoli che in questo momento fanno perdere loro la fiducia nella generazione.Dobbiamo accettare il fatto che, ormai, l’inverno demografico si deve sconfiggere con politiche familiari importanti, che permettano ai giovani italiani di restare in Italia e di non andare all’estero a realizzare i loro sogni lavorativi e familiari, e contemporaneamente una via italiana all’immigrazione che vada oltre la diatriba ideologica
Di solito nei discorsi introduttivi spiegano “perché siamo qui”.
Io voglio fare il contrario, voglio spiegare cosa non faremo in questi giorni di Stati Generali della natalità.
Ecco, non siamo qui per dirci le cose tra di noi.
Tutto ciò che affronteremo sulla natalità dovrà servire alle persone in carne e ossa. Non siamo qui per fare analisi, ma sintesi. Non siamo qui per commentare i dati Istat, ma per trasformarli in impegno futuro, in politica, in proposte concrete.
Niente astrazione e idealità, ma troviamo assieme soluzioni e mettiamo a fuoco rapidamente progetti per invertire la tendenza.
Infine, non siamo qui per affermare valori di parte, ma per parlare di una questione trasversale che riguarda tutta la popolazione italiana nel presente e nel futuro. Nessuno escluso.
Siamo qui per mettere assieme diverse sensibilità e competenze.
Diverse visioni politiche (vedi il tavolo di oggi pomeriggio con tutti i leader dei vari partiti politici).
Siamo qui per mettere insieme diversi approcci valoriali e culturali, tutti motivati a trovare a una soluzione del dato allarmante: siamo al picco più basso di nascite di 339 mila nuovi nati nel 2022.
La popolazione invecchia e il sistema del welfare andando avanti così non può reggere.
Siamo qui per ridare fiato al desiderio di natalità che le giovani e i giovani italiani dichiarano (e ce lo mostrerà chiaramente con i dati Istat il professor Blangiardo).
Perché i dati questo dicono: le donne, i giovani italiani desiderano fare figli, ma poi incontrano ostacoli che li portano ad abbandonare quel desiderio. Ad abbassare il livello del sogno.
Siamo qui per provare a costruire il futuro".