Dopo il regime concentrazionario, le conseguenze: boom di alcolizzati e di alienati giovanissimi

Le patologie psichiche sono salite del 400% dal 2019 al 2022: cercano di dirottare le spiegazioni, ma la colpa è una sola: la dittatura irrazionale, la guerra decretata dal potere ai suoi cittadini col pretesto della sicurezza sanitaria

Ci si chiede in cosa consista oggi il ruolo o il gioco del giornalista e le risposte non sono univoche. Per i realisti è diventato un mestiere trampolino verso altri mestieri, la politica, il gioco del potere; i gaudenti si accontentano, come dei Bel Ami in minore, di partecipare al banchetto, di tenersi aperte le porte dei salotti e degli anfiteatri ma sempre in posizione servile, nella subalternità comoda al potere da riverire, senza pretendere di fargli le scarpe. Meno, ma ancora presenti, gli esaltati che si ritengono depositari della fiaccola della verità e, magari senza condividerlo, prendono a mentore il Pasolini dell'“io so” che anche senza le prove univa i puntini degli indizi e otteneva complotti più o meno lucidi, esercizio retorico ed estetico votato a sicuro martirio ma non privo di conseguenze rischiose per la società. Quanto a me, cerco di restare a quello che so e sul quale almeno uno straccio di prove le accumulo e le spendo. Per dire, io so, e ci ho fatto un libro, quello che ci hanno fatto col regime concentrazionario e non ho bisogno di trarre conclusioni arbitrarie perché sono loro, le “facce grandguignolesche del potere”, tanto per scomodare ancora le ceneri di Pasolini, a dirmelo; non bastasse, ci sono le conseguenze difficili, impossibili da ignorare. Per esempio la sproporzione tra vaccini e effetti avversi sulla quale adesso il mondo si interroga e si incolpa, Italia esclusa perché era essenziale, come ammette la presidente della Corte Costituzionale, puntellare il regime. Ma è un fatto, e non un sospetto, che negli ultimi tre anni il numero di alcolizzati e impasticcati risulti cresciuto sia tra i giovanissimi che tra gli adulti dove uno su sei ha problemi e grossi problemi. Qualcosa di cui, da giornalista che “unisce i puntini”, mi resi conto immediatemente: molti fra le mie conoscenze improvvisamente sempre col bicchiere in mano, e li ricordavo morigerati se non astemi; curiosamente, più di tutti i pedagoghi, gli insegnanti, chiamati all'educazione dei ragazzi: li vedevo prede della stessa scimmia gli uni e gli altri, i professori e gli studenti alienati da mesi di didattica telematica che insegnava solo ad uscire di testa, a sclerare, come si dice, a percepirsi staccati da tutto, scuola, compagni, corpo sociale, famiglia, ambiente, città e infine se stessi. E non ne sono più usciti.

Altro elemento indubitabile e collegato al primo: l'esplosione di patologie psichiatriche fra gli adolescenti. Indubitabile anche perché è lo stesso mondo della scuola a riconoscerlo: ad un convegno all'ospedale pediatrico Gaslini di Genova organizzato dalla CEI, insomma dai vescovi, è stato detto che nel 2019 i ricoveri per disturbi mentali dei ragazzini furono 72, nel 2022, dopo il biennio delle chiusure e dei lasciapassare, erano 270 e dentro c'era di tutto: bullismo, violenza, autolesionismo, patologie alimentari, alienazione: l'inferno in terra, inferno giovanile. Non ero uno psichiatra e neanche un sociologo, ero un giornalista che cercava i puntini da unire e all'inizio di questa tragica farsa mi recai da un prete sociale che conosco da 30 anni, il monsignor Vinicio Albanesi della Comunità di Capodarco, il quale mi diceva: vedrai tra un po' come scoppieranno tutti questi. E lo diceva con quella strana tenerezza cinica che hanno i preti abituati a vederne di tutti i colori. Aveva ragione e ce l'aveva anche sull'altra intuizione: una volta piombati nel gorgo è difficile uscirne, ci vogliono i tempi lunghi e le risorse immani dello stato che prima provoca disastri e poi è costretto a rimediarli. Ma più che rimediarli li lascia decantare, la burocrazia italiana, romana in particolare, avrebbe a sua volta bisogno di una cura psichiatrica: se peschi il jolly capiti col funzionario sensibile, preparato, volonteroso ma novantanove volte su cento sbatti contro il muro di gomma dei lavativi perennemente fuori stanza, fuori sede, fuori di voglia e di testa, devi inoltrarti nel girone dantesco degli uffici e degli sportelli, nella Geenna dei rinvii, dei provi domani, telefoni domani, delle carte che più ne produci e più non bastano. E i tuoi figli danno i numeri, si drogano, bevono o cercano di farsi fuori.

Sì, io so e le prove le ho. Io so che questi figli di puttana hanno fatto quello che hanno fatto sapendo cosa facevano e accettandone il prezzo o forse cercandolo, perché una società dissociata, di malati, di ammattiti è più facile da piegare e da sottomettere, almeno nelle intenzioni di un potere per sua parte lunatico e fanatico. Poi si può insistere ancora un po' nella rimozione forzata, nella falsa coscienza del corpo docente che essendo naturalmente ideologizzato, piddinizzato, può concludere con le domande della viltà, coi dubbi metodologici per rinviare le prese d'atto: “Dipende solo dalla pandemia e dalla guerra?”. Ma la guerra non c'entra, non tocca in nulla fasce giovanili che a malapena la realizzano e la pandemia è una formula ignobile per non dire che tutto è scattato rinchiudendo in galere domestiche milioni di innocenti che non capivano, che se c'era una guerra da scontare non era di quelle pazze e ignobili del mondo ma quella, ancora più infame, di un potere che l'aveva dichiarata, l'aveva inflitta senza necessità e senza presupposti. “Dobbiamo terrorizzarli tutti, dobbiamo farli morire di paura”. Questo si dicevano nelle chat. E l'hanno fatto e molti sono morti davvero, o di shot incauto o proprio di paura, cioè la paura li ha ammalati, li ha minati fino a che il corpo non si è danneggiato irreversibilmente. Per motivazioni schifosamente mediocri: perché c'era da “cogliere l'occasione della pandemia per una nuova società gramsciana” come scriveva il ministro della malattia; perché conveniva bloccare tutto nella crisi incipiente; perché si temeva l'avvento del potere usurpatore e dunque era meglio procrastinare le elezioni; fino al climax inevitabile, quella sorta di cupio dissolvi, di autodisintegrazione, di trionfo del male che ogni regime cattivo si porta dentro e alla fine gli scappa come dal vaso di Pandora. Dopo due anni una società non c'era più, c'erano solo individui amorfi e terrorizzati che si odiavano a vicenda, stretti in effimere tribù di feroci, di esaltati sulle quali il potere speculava, manovrava; c'era l'alienazione che si nutriva di se stessa, la paranoia su tutto, l'istinto ormai pavloviano di assorbire i divieti più assurdi e le menzogne più plateali. Nella mortificazione di sé che puoi comprimere, puoi decidere di non ascoltare ma ti scava dentro e alla fine ti fa impazzire. C'erano gli untori, i parassiti, i ladri e i provocatori che non mancano mai nelle guerre e nei regimi. C'erano, e restano, i fobici che ancora oggi girano con la maschera perché le conseguenze e i costi sociali sono di lunghissimo periodo, estenuanti per una società che tenta disperatamente di rimettersi insieme.

Un'altra cosa da cronista ho capito unendo i puntini e oggi ne trovo conferma indubitabile: che, a lasciarlo fare, il regime di sinistra non avrebbe mai più reso la libertà stuprata, perché ancora oggi se ne dolgono e lo dicono; e che questo regime di destra, culturalmente sottomesso, non aspetta altro che l'occasione buona per richiudere a sua volta, per blindarsi a sua volta. Perché anche questo lo dicono e lo dimostrano: col successore del ministro della malattia che è un suo nominato, con le ambiguità circa il ritorno ad una dimensione accettabilmente, razionalmente democratica. Non mancano neppure i trasformisti perenni che si propongono alla successione nei posti chiave degli enti responsabili del regime: se Giorgia Meloni finirà per nominarli non avrà più alibi e non meriterà alcuna comprensione ma solo indignazione e magari disobbedienza civile, che quando attecchisce sbaraglia un regime anche senza ricorrere alla violenza. Ci pensasse, ci pensasse bene, perché dopo tre anni siamo pieni di alcolizzati, di disturbati, di aspiranti suicidi e non è un sospetto, non è un'esagerazione.