Obbligo vaccinale, sentenza del Tribunale di l'Aquila sanziona per 2.500€ azienda che aveva sospeso lavoratore non inoculato contro il covid

Il giudice: "Non vi è alcuna evidenza scientifica che abbia dimostrato che il vaccinato, con i prodotti attualmente in commercio, non si contagi e non trasmetta a sua volta”

Il Tribunale del lavoro de L’Aquila - giudice Giulio Cruciani -  ha premesso l’illegittimità delle sospensioni dal lavoro commimate in maniera automatica, poiché la sospensione dal lavoro è normativamente l’effetto immediato della ricorrenza di alcuni presupposti che “devono essere accertati in un procedimento che culmina con un atto e questo ovviamente deve essere comunicato al lavoratore che così potrà conoscere il motivo della sospensione, verificare se l’accertamento è esatto e in caso ritenga impugnarlo”.

Affermato il principio della legalità formale e amministrativa dei provvedimenti sanzionatori, il giudice entra nel merito della questione e riconosce che “la comune esperienza di tutti (personale, familiare, della cerchia di conoscenti) conferma il dato evidente che, allo stato, chi non si è vaccinato può infettarsi e infettare come può infettarsi e infettare chi ha ricevuto una dose, due dosi etc..”.

In base alle evidenze scientifiche e alla comune esperienza questo dato – la contagiosità dei vaccinati come dei non vaccinati – “assurge a fatto notorio ai sensi dell’art. 115, c.p.c.” e dunque l’inefficacia del vaccino anti covid-19 non dovrà essere più provata, ma dovrà essere considerata dimostrata.

E siccome la ragione espressa per la quale si impone al lavoratore di vaccinarsi contro la SARS COV 2 è quella di prevenire l’infezione dalla malattia nei luoghi di lavoro, il fatto che il lavoratore vaccinato possa contagiare quanto il non vaccinato dovrebbe condurre alla conclusione logica che entrambi “non devono essere presenti nei luoghi di lavoro”.

Sul punto il giudice afferma che se il testo normativo fosse letto in un’ottica costituzionalmente orientata “non esiste alcuna legge - né potrebbe mai esservi anche per lo sbarramento costituzionale del divieto di discriminazione art. 3 Cost. - che imponga un obbligo vaccinale anti Sars-CoV-2 per prestare lavoro per determinate categorie di lavoratori o per lavoratori con una determinata fascia di età, se il trattamento obbligatorio non costituisce uno strumento di prevenzione dal contagio".

Invero, lo Stato italiano si fonda sul lavoro (art. 1 Cost.) che conferisce la dignità professionale e personale dell’essere umano (limite invalicabile all’obbligatorietà del trattamento sanitario, quale il vaccino, di cui all’art. 32 Cost.) ed il reddito da lavoro costituisce per lo più il reddito di sussistenza, “senza di esso si scivola nel degrado e nella dipendenza”.

In definitiva il Tribunale di L’Aquila ha stabilito che qualunque "atto amministrativo che impone una siffatta discriminazione, che per quanto detto non è prevista dalla norma primaria, sarebbe contra legge e andrebbe disapplicato”.

Si afferma il principio che le “misure” di allontanamento, demansionamento, dequalificanti o segreganti adottate ancora oggi nei confronti dei lavoratori non vaccinati "reintegrati", sono e saranno da considerarsi discriminatorie e mobbizzanti.

Per il giudice "tale fondamento non è presente nel caso in esame: i vaccinati con i farmaci oggi a disposizione della popolazione italiana, come i non vaccinati, si infettano ed infettano gli altri. Non vi è alcuna evidenza scientifica che abbia dimostrato che il vaccinato con i prodotti attualmente in commercio non si contagi e non contagi a sua volta. La comune esperienza di tutti (personale, familiare, della cerchia di conoscenti) conferma il dato evidente che, allo stato, chi non si è vaccinato può infettarsi e infettare come può infettarsi e infettare chi ha ricevuto una dose, due dosi etc".

"Allora è evidente che la sospensione della ricorrente è del tutto priva di fondamento".