19 Dicembre 2025
C’era odore di gomma bruciata e over sessanta sull’orlo di una crisi di nervi quando il Governo ha inchiodato: dietrofront sulle pensioni. Dopo ore di smorfie, scaricabarile e caccia rituale alla “manina”, entra in scena Giorgia Meloni come uno sceriffo nel saloon e annuncia: "correggeremo".
Traduzione simultanea: il Mef è già chiuso in cantina a riscrivere la norma. Via i tagli retroattivi sul riscatto della laurea. Sulle finestre pensionistiche, invece, il futuro resta una nebbia lisergica.
La Lega, con l’elmetto calato sugli occhi, accusa il solito “tecnico troppo zelante”, alias burocrate del Mef. Borghi parla di eccesso di zelo, Siri evoca l’ennesimo complotto ministeriale e giura: finché c’è la Lega, l’età pensionabile non si tocca. Mai. Neanche con un bastone. Forza Italia osserva, sospira e prende tempo: “ne parleremo con calma”, che in politica significa “vediamo chi urla di più”.
Le opposizioni fiutano il sangue. Schlein grida al furto generazionale, Patuanelli segnala il cortocircuito cosmico di una Lega che accusa il suo stesso Ministero, Fratoianni parla di tradimento. Renzi, col bisturi, nota che cambiare le leggi annunciandolo in replica in Aula è uno sport estremo, poco parlamentare e molto da rodeo.
Intanto la manovra corre come un ubriaco tra Natale e Capodanno. Pochi emendamenti approvati, qualche regalo ai comuni, fondi per il sisma, stop ai sogni di contante libero e addio – per ora – a tasse su oro e colpi di genio vari. Il voto finale incombe il 30. Se tutto regge, miracolo. Se salta, colpa della manina. Sempre lei.
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