Il vero dilemma di Elly e le tagliole perfette del suo Pd, ecco perché i dem non vogliono la segretaria a premier - RETROSCENA
Questa volta non potrà dire “non ci hanno visto arrivare”. La stanno aspettando al varco. Con i conti in mano, le agende aperte e una calma glaciale che vale più di mille attacchi
Nel Pd, più che un partito, ormai sembra di camminare in un giardino zen disseminato di mine. E la mina più grossa, questa settimana, porta un nome e un cognome: Elly Schlein.
E il test ha detto: no.
O meglio: “non osi, segretaria”.
Perché nel momento in cui la voce ha iniziato a correre – il passaparola è sempre più veloce degli sms – tutta l’ala riformista del Pd ha alzato lo scudo. “Non ci pensi nemmeno”. Tradotto: non sei abbastanza forte da imporci questa cosa.
Così, il colpo di mano è evaporato nel giro di un pomeriggio.
Ma il messaggio, quello sì, è rimasto nell’aria.
I moderati contro Elly: trappola perfetta, senza alzare la voce
Negli ultimi giorni, se ascolti le conversazioni giuste, il refrain è sempre lo stesso: “Elly è brava, eh… però”. Il “però” pesa come un assegno scoperto.
La verità, che nessuno dice davanti alle telecamere, è semplice: la segretaria non sfonda al centro.
Non parla ai moderati. Non convince i riformisti. Non rassicura gli ex renziani rimasti nel recinto democratico per stanchezza o residuo senso di appartenenza.
E mentre lei stringe la linea identitaria, il fronte che si ispira al riformismo europeo affila le armi. Silenziosamente, scientificamente. La strategia? Non attaccarla mai frontalmente. Basta farla inciampare da sola.
Non serve gridare. Basta aspettare.
Conte ringrazia. E osserva.
Intanto Giuseppe Conte si gode lo spettacolo.
Non mentre beve un caffè, ma quasi.
Il leader M5S sa che ogni incertezza di Schlein è un metro di vantaggio per lui. Si muove leggero, calcolato, convinto che la premiership arriverà “per sottrazione”: se Schlein non riesce a tenere insieme il suo partito, lui potrà dire di essere l’unico con un “mandato popolare”. Un mantra ripetuto, studiato, ripulito.
E il Pd?
Diviso.
Frastornato.
Incapace di decidere se fare il salto o tirare il freno a mano.
Il fantasma del “papa straniero”
Nelle ultime 48 ore una voce si è fatta strada.
Sottile. Fastidiosa. Inquietante per la segreteria.
La voce dice: “Se continua così, spunta una terza candidatura”.
Un nome esterno alle correnti, ma dentro al perimetro democratico. Una figura che possa parlare a quel centro che Schlein non intercetta più.
Non è un complotto.
È aritmetica politica.
E in molti, troppi, sussurrano che il Pd potrebbe non sopportare un’altra lacerazione interna.
Di qui il rischio: lasciare che la segretaria si consumi nella sua stessa corsa, per poi tirare fuori dal cilindro il nome “di equilibrio”.
Il classico gioco all’italiana, mascherato da senso di responsabilità.
Elly davanti allo specchio: scegliere o evaporare
In questo scenario, la segretaria si ritrova davanti allo specchio politico più crudele: rischiare tutto o perdere tutto.
Se tenta di imporsi, spacca il Pd.
Se rinuncia, si auto-condanna al ruolo di “traghettatrice gentile” destinata a farsi superare da Conte – o da chi verrà al suo posto.
Non c’è via di mezzo.
E il partito, quello vero, quello che decide nelle retrovie, lo sa benissimo.
Questa volta non potrà dire “non ci hanno visto arrivare”.
La stanno aspettando al varco.
Con i conti in mano, le agende aperte e una calma glaciale che vale più di mille attacchi.
Di Eric Draven