Manovra 2026, il grido dei territori: rigore contabile sì, ma a rischio i servizi essenziali locali
Comuni e Province bocciano la Legge di Bilancio: troppa prudenza e poche risorse strutturali per garantire welfare, scuola e infrastrutture.
Un impianto troppo prudente
Le associazioni rappresentative di Comuni e Province – ANCI e UPI – hanno espresso un giudizio severo sulla Manovra 2026, definendola eccessivamente prudente e incapace di sostenere la macchina dei servizi pubblici locali. Il Governo persegue il rientro del deficit attraverso il rispetto della “spesa netta” concordata con Bruxelles: una linea contabile che limita la capacità dello Stato di mobilitare risorse, imponendo scelte selettive. Una prudenza che tutela la credibilità europea, ma che rischia di comprimere la spesa sociale e gli investimenti territoriali, compromettendo la tenuta dei bilanci locali.
Comuni sotto pressione: il peso della spesa sociale
L’ANCI segnala una crescente tensione sulla spesa corrente, in particolare nei servizi a tutela dei minori. Il fondo istituito nel 2025 per gli affidamenti giudiziari – 100 milioni annui – copre solo una parte dei circa 460 milioni sostenuti dai Comuni nel 2024. La Manovra 2026 incrementa il contributo a 250 milioni, ma solo per un anno. Gli enti locali chiedono stabilizzazione pluriennale, poiché si tratta di spese obbligatorie e non comprimibili. Senza un intervento strutturale, molti piccoli Comuni rischiano dissesto finanziario.
Disabilità e minori stranieri: servizi obbligatori senza coperture
Altro nodo riguarda l’assistenza agli studenti con disabilità. I Comuni sostengono oltre 600 milioni di euro l’anno, a fronte di trasferimenti statali insufficienti. Le richieste di supporto sono in aumento e le sentenze dei tribunali ribadiscono il diritto allo studio come prestazione incomprimibile. A ciò si aggiunge il mancato rimborso di 200 milioni per l’assistenza ai minori stranieri non accompagnati (MSNA) nel triennio 2023-2025, che molte amministrazioni stanno anticipando con risorse proprie.
Imposta di soggiorno: l’extragettito che va allo Stato
La revisione dell’imposta di soggiorno suscita particolare malcontento. La norma prevede che il 30% dell’extragettito generato dalla maggiorazione di 2 euro venga trattenuto dallo Stato per finanziare fondi sociali. L’ANCI contesta la scelta: si tratta di risorse locali che dovrebbero restare ai Comuni turistici per coprire i maggiori costi di servizi urbani, dalla sicurezza alla raccolta rifiuti. La cosiddetta “compartecipazione al contrario” finisce per penalizzare proprio i territori più virtuosi e attrattivi.
LEP e asili nido: un cantiere incompleto
Il capitolo sui Livelli essenziali delle prestazioni (LEP) resta aperto. La Manovra considera concluso il percorso di finanziamento dei LEP sociali, ma i Comuni chiedono analisi condivise e aggiornate, temendo che la copertura attuale sia solo parziale. Sul fronte degli asili nido, pur avendo raggiunto una copertura del 33%, persistono forti divari territoriali: il Mezzogiorno e le aree interne non riescono a sostenere la domanda crescente. Serve una razionalizzazione delle risorse e una revisione degli obiettivi alla luce del calo demografico
Province: equilibrio fragile e personale insufficiente
Le Province, attraverso l’UPI, denunciano una condizione di squilibrio strutturale. Pur senza nuovi tagli, la Manovra non affronta il problema del disavanzo di parte corrente, stimato in circa 930 milioni di euro. Mancano fondi per investimenti infrastrutturali e misure per il rafforzamento del personale, lasciando gli aumenti contrattuali interamente a carico dei bilanci provinciali. L’UPI chiede l’incremento del fondo per le funzioni fondamentali e un piano per stabilizzare la finanza di comparto, indispensabile per la manutenzione di scuole e strade.
Tra rigore e coesione: un equilibrio da ritrovare
La Legge di Bilancio 2026 si muove entro la nuova governance europea della spesa pubblica, ma la sua prudenza rischia di diventare inerzia. ANCI e UPI chiedono di bilanciare il rispetto dei vincoli di bilancio con la coesione territoriale, garantendo ai Comuni la capacità di erogare servizi essenziali e promuovere investimenti di prossimità. Senza un cambio di passo, la politica di rigore rischia di tradursi in rigidità amministrativa, lasciando i territori più deboli privi di strumenti per affrontare inflazione, costi energetici e pressioni sociali.
L’obiettivo del consolidamento dei conti pubblici resta condiviso, ma gli enti locali chiedono flessibilità intelligente: non un allentamento del rigore, ma una redistribuzione delle priorità. Senza un adeguato sostegno alla spesa corrente qualificata e agli investimenti territoriali, il rischio è quello di un Paese formalmente in equilibrio ma sostanzialmente fermo nei servizi e nelle opportunità.