Pensioni, equità è giustizia: chi ha di più contribuisca di più, chi ha lavorato di più vada in pensione, chi è giovane possa lavorare
Un sistema pensionistico giusto dovrebbe basarsi sugli anni di contributi, non sull’età. Se una persona ha lavorato per 41 o 42 anni, ha già fatto la sua parte. Non ha senso costringerla a restare al lavoro solo perché non ha ancora raggiunto una soglia anagrafica arbitraria
In una società equa, il contributo di ciascuno alle spese pubbliche dovrebbe essere proporzionato alle proprie possibilità. Chi guadagna di più non solo può permettersi di pagare più tasse, ma ha anche beneficiato in misura maggiore del sistema economico e sociale. Non si tratta di punire il successo, ma di riconoscere che la ricchezza comporta responsabilità. Tassare in modo progressivo significa redistribuire le risorse per garantire servizi essenziali a tutti, indipendentemente dal reddito. È un principio di giustizia, non di ideologia.
Negli ultimi anni, però, questo principio è stato messo in discussione. Si parla di flat tax, si moltiplicano le agevolazioni per i redditi più alti, mentre chi ha meno continua a pagare proporzionalmente di più. Eppure, la Costituzione italiana è chiara: tutti devono concorrere alle spese pubbliche in base alla propria capacità contributiva. È tempo di tornare a dare valore a questo
principio, perché senza equità fiscale non può esserci coesione sociale. Allo stesso modo, il tema delle pensioni merita una riflessione profonda. Oggi si va in pensione in base all'età anagrafica, ma questo criterio non tiene conto della storia lavorativa delle persone. Chi ha iniziato a lavorare presto, magari in settori faticosi e usuranti, si ritrova a dover aspettare fino a 67 anni per lasciare il lavoro, anche se ha già versato oltre 40 anni di contributi. È una distorsione che penalizza chi ha dato di più, chi ha costruito il proprio futuro con fatica e continuità.
Un sistema pensionistico giusto dovrebbe basarsi sugli anni di contributi, non sull’età. Se una persona ha lavorato per 41 o 42 anni, ha già fatto la sua parte. Non ha senso costringerla a restare al lavoro solo perché non ha ancora raggiunto una soglia anagrafica arbitraria. La pensione deve essere un diritto conquistato con il lavoro, non un traguardo legato al calendario.
Ma per garantire questo equilibrio, è fondamentale che i giovani possano entrare nel mondo del lavoro. Non si può parlare di pensioni senza parlare di occupazione giovanile. Troppi ragazzi restano ai margini, precari, sottopagati o disoccupati. Se chi ha lavorato a lungo può andare in pensione, si libera spazio per nuove energie, nuove competenze, nuove idee. Far lavorare i giovani non è solo una questione economica: è una scelta di civiltà, di fiducia nel futuro, di investimento nel Paese.
Tassazione, pensioni, lavoro: sono tre pilastri che devono reggersi insieme. Chi ha di più deve contribuire di più. Chi ha lavorato di più deve poter andare in pensione prima. E chi è giovane deve avere l'opportunità di costruire il proprio
percorso. È così che si costruisce una società giusta, solida e lungimirante.
Nico Combattelli Popoli (Pe