Manovra 2026: pelo e contropelo alla "versione prudente" del ministro Giorgetti e del governo Meloni
Il ministro dell'Economia ha riferito della Manovra a tutto campo: vale la pena riprendere e commentare quanto detto, soprattutto riguardo alcuni punti
«…Mentre discutevamo di cosa faceva l’America, c’era un’altra minaccia che si stava creando. E arrivava dall’Asia».
Una chiacchierata a tutto campo che vale la pena di riprendere e di commentare rispetto ad alcune questioni. Com’è noto, uno dei motivi per cui la Casa Bianca non si fida dell’Europa è legata proprio al fatto che mentre lei “chiude” e comincia un braccio di ferro, le porte del Vecchio Continente si sono aperte al Dragone. Ora, ha ragione Giorgetti a mettere a fuoco la distorsione creata dall’economia cinese ma anch’egli è timido rispetto a come rimettere in asse la convergenza. La Cina è in questa posizione di vantaggio perché il famoso Occidente è rimasto schiacciato dalla sua ingordigia o pseudo-furbizia allorquando facendo entrare Pechino nell’Organizzazione Mondiale del Commercio (Wto) ha regalato grandi spazi di dumping convinta di poter entrare in quel mercato.
Invece è accaduto che da quel 2001 quando la Cina effettivamente era un Paese in via di sviluppo ad oggi le condizione di asimmetria non sono mai state tolte, il Partito ha sfruttato ogni leva e oggi quell’economia ha invaso i mercati con standard qualitativi elevati e prezzi competitivi. Il Wto non ha cambiato quegli accordi e a Trump è arrivata la patata bollente da gestire: corto circuito della globalizzazione, invasione cinese sui mercati americani, crisi delle industrie Usa.
Una crisi che però non è solo delle fabbriche americane ma anche europee. Insomma l’ingresso della Cina nel Wto, quasi venticinque anni dopo può essere visto come un veleno a rilascio lento. «È stato messo in crisi anche il modello tedesco sul quale la Germania ha basato il suo successo negli ultimi venti anni - ha riflettuto Giorgetti - Modello che poteva contare su energia a basso costo importata dalla Russia e contemporaneamente forti esportazioni verso la Cina. La bilancia commerciale tedesca mostra come quel modello sia saltato. A essere messa a rischio non è la sopravvivenza dell’industria italiana ma l’intera industria europea».
Mercati e gas. Anche qui il rischio è che la Cina approfitti delle chiusure europee sulla Russia. A Bruxelles (anche a Roma come a Parigi) stanno giocando una partita con una tara etico/morale assai alta: se la Cina, l’India e la Turchia non sembrano molto toccate dalla questione ucraina al punto da chiudere i rubinetti con Mosca, siamo sicuri che in un tempo non molto lontano anche l’America non chiuderà un accordo con la Russia su gas, petrolio e terre rare? E a quel punto l’Europa che farà? Attualmente la strategia europea appare bloccata e anche incartata. Giorgetti spera nell’Ecofin: «Cercheremo di difendere le nostre buone ragioni rispetto al ventilato aumento di tassazione sul gas. È una prima battaglia su cui speriamo altri si uniscano. Altrimenti sarebbe come mettere la pietra tombale sull’industria italiana a partire dal 2033 in avanti (…) L’utilizzo dei sussidi pubblici non può essere rimesso alla disponibilità degli spazi fiscali dei vari Paesi. La Germania non fa mistero di voler intervenire in modo massivo con sussidi a favore dell’industria tedesca. Ma non si può dimenticare che questo è vietato dalla normativa europea». Beh, siamo sempre lì: Germania “dominus” della Ue.
Capitolo banche. «Pensiamo che le banche debbano tornare a concentrarsi sull’attività creditizia tradizionale. Per un sistema industriale come il nostro, il credito bancario continua a essere fondamentale (…) Per il tipo di economia che contraddistingue l’Italia, continua a essere determinante l’atteggiamento delle banche. Serve un approccio più consapevole del momento storico economico che stiamo vivendo». Eppure il governo ha giocato eccome in una partita che doveva essere di mercato e invece si è trasformata anche in altro. Il governo finge di non capire: ora vedremo che succede visto che UniCredit non intende mollare.
Ultima questione, la più importante: l’accusa di aver messo in piedi una manovra per ricchi. Su questo è difficile non dare ragione al ministro. «Se ricco è colui che guadagna 45 mila euro lordi all’anno…. Forse l’Istat, la Banca d’Italia hanno una concezione della vita un po’ diversa. Noi siamo intervenuti quest’anno sul ceto medio perché eravamo già intervenuti negli anni scorsi sui ceti più svantaggiati».
La vera critica da muovere non è pertanto questa, quanto la timidezza della manovra per stare dentro i parametri di quell’Europa da cui il famoso governo sovranista aveva promesso di smarcarsi e in cui invece resta impigliato. Perché non osare? Perché pensare di poter generare un bonus da spendere l’anno prossimo in vista delle elezioni? Siamo in un momento di grande difficoltà, i mercati corrono e che fa il governo? Gioca di rimessa con Bruxelles e guarda al calendario elettorale. Va bene perché non c’è una opposizione ma così molti passeranno tristemente dal tirare a campare al tirare le cuoia.
di Gianluigi Paragone