Retribuzione dei segretari comunali: l’ARAN chiarisce che le reggenze a scavalco restano fuori dal monte salari
L’ARAN chiarisce che il monte salari per la retribuzione di risultato dei segretari comunali va riferito solo all’ente di titolarità: stop a inclusioni arbitrarie e principio di rigore nella gestione pubblica.
Con l’orientamento applicativo n. 35334/2025, l’ARAN (Agenzia per la Rappresentanza Negoziale delle Pubbliche Amministrazioni) interviene su una questione che da tempo solleva dubbi interpretativi tra operatori, segretari comunali e dirigenti degli enti locali: la corretta determinazione della retribuzione di risultato dei segretari comunali e provinciali. Al centro dell’attenzione vi è il tema, solo apparentemente tecnico, del “monte salari”: il parametro economico su cui viene calcolata la retribuzione legata alla performance. La domanda cruciale è se, all’interno di questo monte, possano essere inclusi anche i compensi percepiti per reggenze a scavalco, ovvero per incarichi temporanei in altri enti, oltre a quello di titolarità.
Una figura chiave e un sistema retributivo complesso
Il segretario comunale e provinciale rappresenta una delle figure centrali dell’architettura amministrativa locale: garante della legalità, della regolarità degli atti e della continuità amministrativa. La sua retribuzione è composta da uno stipendio base, una retribuzione di posizione (che varia a seconda della complessità dell’ente) e, appunto, una retribuzione di risultato, strettamente legata agli obiettivi conseguiti. Tuttavia, la complessità nasce proprio dal calcolo di quest’ultima componente. Il CCNL Funzioni Locali del 16 luglio 2024, all’articolo 61, stabilisce che essa debba essere determinata sulla base delle risorse finanziarie corrisposte dal medesimo ente. Ma cosa accade quando il segretario svolge incarichi temporanei altrove?
La posizione netta dell’ARAN
Il parere dell’ARAN è chiaro: il monte salari va riferito esclusivamente al singolo ente, e deve comprendere solo le somme effettivamente erogate da quell’ente al proprio personale nell’anno precedente. Tali somme devono risultare dai dati del Conto annuale della Ragioneria Generale dello Stato, ai sensi dell’art. 60 del D.Lgs. 165/2001. In parole semplici: non è possibile includere, nel calcolo del monte salari di un ente, i compensi corrisposti da altri enti per reggenze temporanee. E questo, anche se quei compensi sono stati percepiti dalla stessa persona, il segretario. Il principio è chiaro: ogni ente paga e calcola la performance sulla base della propria gestione e delle proprie risorse.
Il sostegno della Corte dei Conti
A rafforzare la posizione dell’ARAN è arrivata anche la Corte dei Conti, sezione regionale di controllo della Lombardia, con la deliberazione n. 158/2025. I magistrati contabili hanno sottolineato come le indennità per reggenze a scavalco abbiano carattere straordinario e transitorio, e non siano in alcun modo assimilabili ai compensi stabili legati alla titolarità di un incarico. Includerli nel monte salari significherebbe alterare la base di calcolo della performance, violando così lo spirito del contratto collettivo e introducendo una distorsione economica che può aprire la strada a iniquità tra enti e, soprattutto, a possibili contenziosi.
Un messaggio agli enti locali: rigore, non creatività
La decisione dell’ARAN, pur di natura tecnica, ha un impatto pratico diretto su centinaia di amministrazioni comunali e provinciali, soprattutto nei territori più piccoli, dove è frequente il ricorso alle reggenze a scavalco a causa della cronica carenza di segretari titolari. Molti enti, infatti, avevano finora adottato interpretazioni flessibili, includendo nel monte salari anche compensi non di propria competenza, con l’obiettivo – più o meno esplicito – di incrementare la retribuzione di risultato del segretario. Un modo di operare che, seppur diffuso, contrasta con i principi di trasparenza e sostenibilità dell’azione amministrativa. L’ARAN, con questo orientamento, impone un principio di rigore contabile che guarda all’interesse generale e alla corretta gestione delle risorse pubbliche.
Retribuzione di posizione: chi paga e come
Un altro punto affrontato dall’ARAN riguarda la retribuzione di posizione dei segretari provenienti dalla disponibilità, protetti dalla disciplina dell’art. 43, comma 2, del CCNL del 2001. L’art. 60 del nuovo contratto (CCNL 16.07.2024) stabilisce che l’ente di titolarità definisca l’ammontare della retribuzione in base alla classe demografica e ai criteri interni di graduazione, restando nei limiti minimi e massimi stabiliti dalla tabella allegata. Quanto alla ripartizione degli oneri, l’ARAN specifica che l’ente locale deve farsi carico del minimo previsto per la propria fascia, nonché dell’eventuale quota aggiuntiva riconosciuta. Il Ministero dell’Interno, invece, è chiamato a coprire la differenza tra i minimi contrattuali, garantendo così un’equa distribuzione del costo tra centro e periferia.
Tra merito e misura: una scelta liberale
Questa pronuncia va letta anche in una chiave più ampia, sistemica e valoriale. La retribuzione di risultato non è un diritto soggettivo automatico, ma una leva di premialità collegata alla misurazione del merito. Essa deve essere riconosciuta quando c’è effettivo raggiungimento degli obiettivi, e non può diventare un modo surrettizio per integrare il reddito dei dirigenti. È una visione che premia il buon andamento, non il formalismo, e richiama a un principio fondamentale del pensiero liberale applicato alla pubblica amministrazione: responsabilità nella spesa, trasparenza nella gestione, valorizzazione del merito.
In una stagione in cui si parla di rilancio dell’apparato pubblico e di efficienza amministrativa, la chiarezza su criteri retributivi come questa rappresenta un passo nella direzione giusta. Senza rigore, nessuna riforma ha senso; senza regole chiare, nessuna valorizzazione del merito è possibile.
L’orientamento applicativo 35334/2025 dell’ARAN non è solo una risposta a un quesito tecnico, ma un segnale politico forte: è finito il tempo delle scorciatoie. La Pubblica Amministrazione italiana ha bisogno di regole certe, non di interpretazioni soggettive; di una gestione seria, non di trucchi contabili. E se vogliamo davvero una burocrazia più efficiente, il rispetto delle regole è il primo passo.