E se la pensione non arrivasse mai? Lavorare fino a 67 anni è diventato la norma e nel prossimo futuro l'età potrebbe aumentare ancora
La domanda che dovremmo porci è semplice: che tipo di società vogliamo costruire? Una che premia il lavoro con il giusto riposo, o una che spreme le persone fino all’ultimo giorno utile?
In Italia, il concetto di pensione sembra allontanarsi sempre di più, come un miraggio che si sposta man mano che ci si avvicina. L’età pensionabile ha raggiunto soglie che, per molti lavoratori, risultano non solo scoraggianti, ma
anche ingiuste. Lavorare fino a 67 anni è diventato la norma, e si parla già di ulteriori aumenti nei prossimi anni, legati all’aspettativa di vita. Ma vivere più a lungo non significa necessariamente essere in grado di lavorare più a lungo.
Molti mestieri, soprattutto quelli fisicamente usuranti, non permettono di mantenere lo stesso ritmo per decenni. Muratori, infermieri, operai, insegnanti, dipendenti pubblici: sono categorie che spesso arrivano a 60 anni già stremate, con problemi di salute e una stanchezza accumulata che non può essere ignorata. Eppure, il sistema previdenziale italiano sembra non tenerne
conto. Le pensioni anticipate esistono, ma sono difficili da ottenere e riservate a pochi.
La giustificazione ufficiale è sempre la stessa: il sistema va sostenuto, i conti pubblici vanno salvaguardati, la popolazione invecchia e i giovani sono pochi, Tutto vero, ma il rischio è quello di sacrificare il benessere individuale sull’altare della sostenibilità economica. In questo scenario, la pensione diventa quasi una conquista eroica, un traguardo che si raggiunge dopo una maratona estenuante, piuttosto che un diritto maturato con anni di lavoro.
Nel frattempo, altri Paesi europei affrontano il problema in modo diverso. La Francia ha vissuto proteste di massa contro l’innalzamento dell’età pensionabile, e ha fissato il limite a 64 anni. La Germania punta ai 67 anni, ma con maggiore flessibilità. L’Italia, invece, sembra bloccata in una spirale di rinvii e riforme incomplete, dove il lavoratore è spesso lasciato solo a fare i conti con la propria fatica.
La domanda che dovremmo porci è semplice: che tipo di società vogliamo costruire? Una che premia il lavoro con il giusto riposo, o una che spreme le persone fino all’ultimo giorno utile? Perché il valore di una vita non si misura solo in anni lavorati, ma anche nella possibilità di godere del tempo libero, della salute, della dignità. E forse, proprio da qui, dovremmo ripartire.
di Nico Combattelli Popoli (Pe)