A che serve il funerale di un papa? A soddisfare la vanità, le smanie di potere e di carriera, perfino di impunità

Il papa a parole contro la finanza, contro i potenti e la globalizzazione, giubilato come a Davos o a Bruxelles, la Chiesa ridotta ad organismo nella trama degli altri organismi della globalizzazione, i WTO, WEF, UE.

Entrai al liceo Carducci nell'autunno del 1978 ed era un periodo strano, in Vaticano un inaudito viavai di papi, tre in un mese e qualche compagno ultrà delle Brigate Rosse, che in quel momento andavano forte, scrisse sul muro di un'aula “il papa ci piace di più a testa in giù”. Ovviamente nessuno si sognò di cancellare e alcuni professori marxisti lo trovavano molto spiritoso. Oggi, fossero vivi, correrebbero alle esequie del papa assurdo del quale si poteva dire tutto e il suo contrario sulla scia di quello che era, che diceva. Non è stata forse la delegazione più nutrita quella della sinistra atea, abortista, genderista? C'era perfino Bertinotti, c'erano la Boldrini, Casarini che da Bergoglio ha ricevuto aiuti molto spirituali, gli impresari Bonelli & Fratojanni, tutta gente che in chiesa non ci ha mai messo piede ma per il papa a testa non in giù ma di sicuro avvitata al rovescio una eccezione si fa, mancava solo Ilaria Salis, forse non l'han fatta passare nel timore che occupasse il Vaticano. Ma ha mandato il suo cordoglio accorato, così come Hamas. A che servono le esequie faranoiche di un papa preteso dei poveri, degli ultimi? A non mancare, siccome non manca nessuno, a soddisfare la vanità di potere, a tessere accordi e affari, poi possono farlo passare per miracolo bergogliesco ma resterà iconica l'immagine di Trump che confessa Zelensky, uno che pure in questa occasione cerca di mungere e di farsi ungere.

La Nemesi più spietata: il papa a parole contro la finanza, contro i potenti e la globalizzazione, giubilato come a Davos o a Bruxelles. Ma è Francesco ad aver traghettato definitivamente la Chiesa da magistero a ong, da ente super partes ad organismo nella trama degli altri organismi della globalizzazione, i WTO, WEF, UE che organizzano le stragi globali, le pandemie, le guerre, le diseguaglianze, tutte le cose che dispiacevano al papa ambiguo del quale si può dire tutto, si può esaltare l'esempio da atei, da anarcoidi, da gente che di solito il papa lo vuole a testa in giù.

Questo pontificato, non breve, dodici anni, non ha cambiato il mondo ma il clero cattolico sì. In scia al tempo dissacrato, scristianizzato, ha finito di trasformare i ministri in assistenti sociali, ha tolto ogni autorevolezza residua, salvo quella del soldo, della finanza globale in cui i santi uomini del Vaticano restano maestri, ha confuso le acque, spaccato come mai prima le anime di quella concordia dei discordi che è la Chiesa che per duemila anni si è retta sulla capacità magistrale di ricomporre i diversi, gli opposti, magari più nel segno del lucro che in quello della salvezza. Ma i templi si sono svuotati e il popolo di Dio ha completamente mollato l'ortodossia che uno come il cardinal Sarah non si stanca di predicare, i cosiddetti fedeli si sono costruiti una loro religione personalizzata, molto oltre il lascito storico del Paese eternamente presociale, passato dalla civiltà contadina, bigotta, a quella postmoderna e troiesca delle influencer senza fasi intermedie. “Me la vedo io con Dio” dicono questi italiani convinti di poter far fesso anche il Padreterno e qui sta la sconfitta di un pontefice come Francesco che a suo modo, un modo spesso incomprensibile, insisteva sulla necessità di consegnarsi al volere superiore, insegnamento che usciva del tutto annacquato nel mare di contraddizioni, di fughe sconcertanti, di botte da matto che disorientavano i fedeli così come non pochi prelati.

Globalizzazione, affari, vanità: quella dei cardinali, sui 90 anni, che si accingono alle guerre intestine in conclave, quella dei politici di potere che si spartiscono il mondo, ma, su tutte, quella della cosiddetta gente che tanto premeva al papa argentino: cattivi, posseduti nella loro mediocrità narcisistica, nella loro vanagloria demoniaca. Ma il peggio del peggio lo ha dato l'informazione, in particolare quella del sedicente servizio pubblico, della televisione di Stato metà meloniana, metà piddina, ora e sempre democristiana. Non c'è stata notizia ma agiografia, non cronaca ma mito, non realtà ma invenzione. La Narrazione che piace al potere, ma recitata male, svolta male, di livello penoso, da televisione privata anni Settanta. Vi sembra una valutazione troppo dura, troppo vaga? Allora vediamo di scendere nel dettaglio, per quanto a volo: l'ultima cerimonia per la morte di un pontefice si deve a vent'anni fa esatti: sembra preistoria, tutti ricordiamo le esequie di Giovanni Paolo II già avvolte in una nube mediatica pesantissima ma non ancora totalizzante, restava spazio per una sorta di ritegno, di sacralità, anche di quel distacco che nasce dal rispetto: con Francesco si è piombati nel reality, nel Grande Fratello della globalizzazione per dire un esibizionismo sfrenato e idiota, dove tutti si sentono in obbligo di dire qualcosa, invariabilmente luoghi comuni, frasi fatte, scemenze dove tutti celebrano loro stessi e l'ultimo ad essere celebrato è il morto nella bara. Si imbroda da solo il ministro Piantedosi, si compiacciono i politici di tutto il mondo e di tutti gli schieramenti, si autoesaltano i mitici volontari, di cosa non si capisce mai, si parlano addosso i finti umili, i fedeli che più li senti parlare e più ti rammarichi che Bergoglio non sia lì a pigliarli a schiaffi, come con la rompicoglioni cinese in quella scena spettacolare, oltre Monicelli e oltre Moretti, roba da mitologia della Chiesa. Ma questo funerale, mentre segna un colmo, un punto di non ritorno, marca anche un nuovo inizio: il dogma della tecnologia onnipotente è “tutto quello che si può fare si deve fare” e se è peggio di prima tanto meglio. Presto arriva il nuovo inquilino in Vaticano e non importa chi sarà, se il marxista di Sant'Egidio Zuppi (Dio ce ne scampi, crollerebbe subito tutto anche dall'altra sponda del Tevere, avremmo premier Riccardi, ministro all'immigrazione il casinista veneto e ministra alle politiche sociali la occupatrice di Askatasuna, con la benedizione di Mattarella che è eterno e seppellisce tutti i papi) o l'ultra tradizionalista Sarah (Dio lo volesse, perché in certi passaggi storici, in certe derive della modernità ci vogliono reazionari di marmo e di ferro). Quello che conta è lo show, è il circo, tu chiamala se vuoi narrazione, se no comunicazione, tanto è la solita faccenda empia, satanica, dove tutto quello che puoi pensare è vero ma niente di tutto ciò è reale.