Meloni vola da Trump per il sì alle urne: il retroscena dietro il viaggio in Usa - RETROSCENA ESCLUSIVO
Non solo dazi e diplomazia: la premier vuole la benedizione del tycoon in vista di possibili elezioni anticipate nella primavera 2026. Alla Casa Bianca si gioca anche il futuro politico della destra italiana
Non è solo per i dazi. Non è soltanto per parlare di export, relazioni transatlantiche o del dossier cinese. Il viaggio di Giorgia Meloni negli Stati Uniti, previsto per i prossimi giorni, ha un secondo livello, più riservato e politicamente carico. Dietro l’incontro con Donald Trump, c'è anche un altro motivo: chiedere – o almeno tastare – il terreno per una benedizione in vista di un possibile voto anticipato in Italia, entro la primavera del 2026.
Una suggestione? Mica tanto. Da settimane, come già ampiamente anticipato da questo giornale, nel sottobosco della politica romana, si rincorrono voci sempre più insistenti: la presidente del Consiglio starebbe prendendo in seria considerazione l’ipotesi di chiudere la legislatura prima del termine naturale. Primavera 2026: questa, per ora, la finestra che si agita nei ragionamenti più riservati di Palazzo Chigi. Il calcolo è squisitamente politico: consenso ancora solido, opposizione in affanno, una destra che – con qualche ritocco – potrebbe presentarsi al voto con numeri ancora più forti. Ma c’è un’altra variabile: il mondo, e soprattutto l’America.
Meloni, che ha sempre coltivato un legame culturale e simbolico con l’universo trumpiano, vuole capire se il tycoon è pronto a sostenere la sua rielezione. E soprattutto se nel futuro della destra mondiale immaginata da Trump e Musk c’è spazio anche per lei, magari anche al Quirinale per il dopo Mattarella. Lo scenario immaginato a Roma è chiaro: un asse conservatore rafforzato, e un’Italia chr si presenta come la cerniera ideale tra Washington e Bruxelles, tra il blocco sovranista e l’establishment europeo.
Ma prima di compiere il salto, Meloni vuole garanzie. E chi meglio di Trump per offrirle una sponda? Il faccia a faccia, che si terrà alla Casa Bianca, servirà anche a questo: capire se il Presidente è pronto a investire su di lei, a considerarla la sua interlocutrice privilegiata in Europa, a legittimare – magari anche solo con un gesto – un suo secondo mandato ottenuto attraverso elezioni anticipate. E po, chissà, il sogno Quirinale.
Certo, restano molti se. A partire dalla reazione degli alleati interni: Salvini potrebbe anche benedire l’operazione, se gli venisse garantito un ruolo di peso a cominciare dal Viminale per aumentare i consensi in vista delle elezioni. Più complessa la posizione di Forza Italia, ancora in cerca di un’identità post-berlusconiana.
Il viaggio negli USA, insomma, non sarà solo un appuntamento per parlare di dazi. Sarà un test politico. Un colloquio per capire se, oltre l’Atlantico, qualcuno è pronto a investire definitivamente su Giorgia. E se davvero l’ora delle urne in Italia può scoccare prima del previsto. Con l’imprimatur di Donald.