Referendum cittadinanza, raggiunto quorum di 500 mila firme, Meloni: "10 anni tempo congruo, Italia ha ottima legge"
Superato il mezzo milione di firme per il referendum proposto da +Europa, ora si attende il vaglio della Corte Costituzionale, mentre Meloni dal palco dell'Onu ribadisce la sua posizione contraria alla modifica di ciò che reputa già "un'ottima legge"
Il referendum sulla cittadinanza, che punta a dimezzare da 10 a 5 anni di residenza legale continuativa il termine dopo il quale gli stranieri possono diventare cittadini, ha raggiunto il quorum di 500mila firme necessario per provare a votare la riforma. Nel mentre, dall’altra parte dell’oceano Atlantico, la premier Giorgia Meloni interviene sul tema dal palco internazionale dell’Assemble generale dell’Onu in corso in questi giorni dal 24 al 30 settembre: "Ritengo che 10 anni siano un tempo congruo per la cittadinanza e che l’Italia abbia una ottima legge, non vedo quindi la necessità di cambiarla. Se poi c’è il referendum, è democrazia e devono decidere gli italiani", ha detto il Primo Ministro. L'iter prevede adesso il controllo di validità formale della Corte di Cassazione e il vaglio della Corte Costituzionale. La consultazione referendaria potrà poi avere luogo, probabilmente entro il mese di giugno 2025. Se il referendum di cittadinanza dovesse essere approvato, tutti gli stranieri maggiorenni potrebbero richiedere la naturalizzazione dopo cinque anni di residenza ininterrotta nel Paese, a patto di soddisfare anche altri criteri come la conoscenza della lingua, il possesso di adeguate risorse economiche, l'idoneità professionale, il pagamento delle tasse e l'assenza di precedenti penali. Inoltre, come spiegato da Paolo Bonetti, docente dell'Università Bicocca di Milano che ha partecipato alla formulazione del quesito, "anche i figli minori conviventi otterrebbero la cittadinanza, conservando il diritto, una volta maggiorenni, di rinunciarvi se in possesso di altra cittadinanza". Secondo le stime, i potenziali beneficiari sarebbero tra i 2,3 e i 2,5 milioni di persone.
Si riaccende il dibattito politico sul tema
Nella giornata di ieri, pochi minuti dopo le quattro del pomeriggio, la raccolta digitale delle firme ha superato il mezzo milione. Il referendum per la cittadinanza presentato da +Europa il 6 settembre scorso, ora dovrà passare il vaglio di ammissibilità della Corte Costituzionale. Se ottenesse il via libera, la prossima primavera gli italiani saranno chiamati alle urne su un quesito abrogativo che si propone di dimezzare il termine di 10 anni per ottenere la cittadinanza italiana. Riccardo Magi, segretario di +Europa, ha esultato: "Il 6 settembre, quando abbiamo depositato il quesito, in pochissimi credevano che fosse possibile una mobilitazione del genere su un tema difficile, divisivo" come quello sulla cittadinanza, che "questo governo, e molti altri prima, hanno utilizzato in maniera ideologica, avvelenando il dibattito pubblico". Insomma, i cittadini "dimostrano di non essere rassegnati al modo ideologico con cui questo governo tratta temi centrali per il futuro del Paese". Di contro, in serata è intervenuta da New York la premier Giorgia Meloni: "Ritengo che 10 anni siano un tempo congruo per la cittadinanza e che l’Italia abbia una ottima legge, non vedo quindi la necessità di cambiarla. Se poi c’è il referendum, è democrazia e devono decidere gli italiani". Lo stesso tema era stato sollevato in agosto da Antonio Tajani e declinato come ius scholae, la cittadinanza a chi ha frequentato le scuole in Italia. Forza Italia ora accelera e affronterà l’argomento in una riunione domani, con il leader azzurro a precisare che il testo sarà presentato "innanzitutto ai nostri alleati e poi in Parlamento. La cittadinanza è una questione seria che non deve diventare oggetto di giochini parlamentari". Secondo il segretario di +Europa, il punto cruciale della piattaforma digitale, introdotta grazie ad un emendamento dello stesso Magi al decreto Semplificazioni del 2021 (votato all’unanimità in Commissione) è che "la raccolta di firme digitale impedisce al Parlamento di eludere le questioni sgradite".