La legge “salva casa” tra opportunità e (troppe) criticità

I cittadini facciano attenzione

Con la legge 24 luglio 2024 n. 105 è stato convertito in legge, con modificazioni, il decreto legge 29 maggio 2024 n. 69 recante disposizioni urgenti in materia di semplificazione edilizia ed urbanistica cosiddetta legge “salva casa”.

Tale normativa, richiesta da anni dagli operatori del mercato immobiliare, si prefigge il lodevole scopo della semplificazione amministrativa, e conseguente titolo in accertamento di conformità, delle piccole irregolarità formali (costituenti un blocco nella circolazione dei beni immobiliari e dei mutui bancari) nonché di semplificare installazioni di tende, pergotende ed altri sistemi di protezione non strutturali sotto il profilo della creazione di nuova volumetria degli spazi scoperti.

Il passaggio più delicato della nuova normativa ha riguardato indubbiamente gli interventi edilizi eseguiti in assenza o difformità dell’autorizzazione paesaggistica.

Il neoformato articolo 36-bis (L comma IV) prevede infatti che gli interventi realizzati in parziale difformità dal permesso di costruire o dalla Segnalazione Certificata di Inizio Attività nell’ipotesi di cui all’articolo 34 del Testo Unico n. 380/2001 ovvero in assenza od in difformità della Segnalazione Certificata di Inizio Attività nell’ipotesi di cui all’articolo 37 possano ottenere il permesso di costruire o la cosiddetta S.C.I.A. in sanatoria ove l’intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica vigente al momento della presentazione della domanda nonché ai requisiti prescritti dalla disciplina edilizia vigente al momento della loro realizzazione.

Il che rappresenta un indubbio “alleggerimento” della cosiddetta doppia conformità della disciplina previgente.

Qualora tali interventi siano eseguiti in assenza o difformità su aree soggette all’autorizzazione paesaggistica da parte della competente Sovrintendenza il dirigente ove responsabile dell’ufficio edilizio richiede alla competente Sovrintendenza apposito parere vincolante in merito all’accertamento della compatibilità paesaggistica dell’intervento anche in caso di lavori che abbiano determinato la creazione di superfici utili o volumi ovvero l’aumento di quelli legittimamente realizzati.

Sempre il comma IV prevede l’iter procedimentale, sotto il profilo temporale, per l’emissione del parere vincolante e la formazione del “silenzio – assenso”.

Ad una prima lettura risulta evidente l’obiettivo di semplificazione perseguito dal Governo in un territorio, come quello italiano, assoggettato, in forma pressochè integrale ai vincoli paesaggistici dei più vari contenuti.

Naturalmente rimane la discrezionalità tecnica della competente Sovrintendenza nell’emissione del parere (o nulla osta) definito vincolante dal testo della nuova normativa in coerenza e continuità della Parte Terza del D.Lgs. n. 42/2004 cosiddetto “Codice dei beni culturali”.

Ad una prima lettura della norma però tale iter di semplificazione sembra condotto solo a metà.

Ciò in quanto le difformità su beni assoggettati a vincolo paesaggistico anche in caso di creazione di superfici utili o volumi ovvero l’aumento di quelli legittimamente realizzati risulta procedimentalizzato (e quindi richiedibile) solo ai sensi del D.Lgs. n. 380/2001 (Testo Unico dell’Edilizia) il cui perimetro di assentibilità sotto il profilo della discrezionalità tecnico amministrativa può non coincidere con il diverso testo unico dei beni culturali D.Lgs. n. 42/2004.

In buona sostanza non tutto ciò che è assentibile sotto il profilo della Legge urbanistica (380/2001) risulta assentibile ai sensi del D.Lgs. n. 42/2004 articolo 167.

Quest’ultimo articolo, all’attualità non modificato, reca come intestazione ordine di remissione in pristino o di versamento di indennità pecuniaria e riproduce letteralmente il testo dell’articolo 164 del Testo Unico del 1999 a sua volta mutuato con alcune varianti dall’articolo 151 della Legge n. 1497 del 1939.

L’articolo 167 nel comma IV statuisce che l’Autorità Amministrativa competente accerta la compatibilità paesaggistica, secondo le procedure di cui al comma V nei seguenti casi:

a – per i lavori realizzati in assenza o difformità dall’autorizzazione paesaggistica che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati.

Il dato letterale fa emergere la totale irriducibilità delle due normative per cui quello che può essere richiesto ai sensi della legge urbanistica non solo può ma deve essere rigettato dalla competente Sovrintendenza con l’irrogazione delle sanzioni amministrative della demolizione o della sanzione pecuniaria.

Con la formulazione dell’articolo 167 del D.Lgs. n. 42/2004 Parte Terza, in buona sostanza, il cittadino che chiedesse l’accertamento di conformità non solo non vedrebbe accolta la propria domanda, nel caso in esame, ma trasformerebbe la propria richiesta in autodenuncia con conseguente attivazione a proprio carico della sanzioni della rimissione in pristino o del versamento dell’indennità pecuniaria secondo i termini, le modalità e valutazioni di discrezionalità tecnica di cui al D.Lgs. n. 42/2004.

Né la contraddizione sembra superabile in sede ermeneutica. Il contrasto infatti non è all’interno di una stessa norma o di una norma all’interno dello stesso sistema bensì tra due sistemi  regolati da due norme di settore (il testo unico edilizio ed il codice dei beni culturali) correlati all’interno di complessi procedimenti amministrativi (nei quali i pareri ed i nulla osta della Sovrintendenza possono essere sia preventivi che endoprocedimentali ma generalmente con effetto vincolante) ma autonomi quanto a “sistema”.

Pertanto poco pregio tenderebbe avere l’ipotesi di una “abrogazione implicita” dell’articolo 167 del D.Lgs. n. 42/2004, in parte qua, trattandosi come tutto di due sistemi normativi autonomi ancorchè correlati all’interno di complessi iter di legittimazione urbanistica preventiva o successiva in accertamento di conformità o sanatoria.

Nemmeno il ricorso ad una lettura “costituzionalmente orientata” sulla sostanziale inutilità dell’art. 36 bis L comma IV per contrasto con il letterale tenore dell’articolo 167 del D.Lgs. n. 42/2004 sembrerebbe risolutivo.

Ciò in quanto, come sopra detto, il perimetro della assentibilità sotto il profuilo della legge urbanistica può non coincidere con il perimetro della assentibilità in tema di tutela del vincolo paesaggistico.

L’unica via, per evitare guai a qualche incauto cittadino, rimane quella di un nuovo intervento normativo di “adeguamento tecnico” dell’articolo 167 alle nuove fattispecie previste dall’articolo 36 bis L comma IV del D.Lgs. n. 380/2001.