Autonomia differenziata è legge, le Regioni decideranno come spendere i fondi erogati: è il tempo della responsabilizzazione

Per le Regioni inoperose ed a volte irresponsabili questo è un grave rischio, per il resto dell’Italia è soltanto un beneficio. Questa è la realtà, il resto è soltanto propaganda

Nel 1968, un movimento ideologico-politico nato in California, nell’Università di Berkeley, sedotto dalle teorie del filosofo Herbert Marcuse, era dilagato anche in Europa. In Italia in particolare, erano sorte contestazioni anche violente contro la società e lo Stato, che poi sono sfociate nelle brigate rosse, nella guerriglia urbana, nei tanti assassini, nei cosiddetti anni di piombo, insomma.

Il potente Partito Comunista reagì in modo contraddittorio a questa tragedia, favorendo all’inizio tale contestazione come espressione di progressismo e di libertà e poi abbandonando sempre di più la benevolenza iniziale, fino a trasformarla in ferma condanna.

In quel periodo, il PCI e la DC, i due principali partiti italiani cercarono faticosamente un accordo, per evitare che la situazione degenerasse.

In particolare, i comunisti ben sapevano che a loro, per gli accordi di Yalta tra le grandi potenze, USA e URSS, era proibito entrare nel Governo centrale del paese, pertanto cercarono con successo, di occupare tutti gli spazi di potere collaterali: magistratura, cultura ed enti locali.

In base a questa strategia, fecero pressioni sulla DC per la realizzazione dell’Istituto Regionale, previsto dall’art. 114 della Costituzione, ma mai attuato. Ciò al fine di sfruttare il grande peso politico delle sinistre in alcune Regioni Italiane quali ad esempio Emilia e Romagna, Toscana, Liguria ed Umbria.

Nel 1970 pertanto, fu approvata dal Parlamento italiano, la riforma regionale, con voto bipartisan, che istituì le 20 regioni attualmente esistenti. Nel 2001, un Governo di sinistra guidato da Giuliano Amato, modificò l’articolo 14 della legge allora in vigore, con la seguente dizione: “La Repubblica, una ed indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali, attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo, adegua i principi ed i metodi alla sua legislazione, alle esigenze dell’autonomia e del decentramento.” La legge sull’autonomia differenziata, approvata in questi giorni in Parlamento, era già stata stimolata nel lontano 2017, da un ampio consenso popolare in due referendum regionali in Lombardia ed in Veneto e da un accordo preliminare molto impegnativo, tra Governo e Regione Emilia e Romagna nel 2019.

Che cosa prevede la legge approvata? Rimangono innanzitutto completamente invariati i trasferimenti netti dei contributi erogati dallo Stato alle Regioni, definiti in funzione di parametri, che tengono conto delle differenze economico-sociali tra le diverse realtà territoriali: la Lombardia versa 54 miliardi di euro allo Stato ogni anno, in più di quanto riceve. L’Emilia Romagna versa 19 mld, il Veneto 15 mld, il Piemonte 9 mld, la Toscana 6 mld, il Lazio 4 mld e poi, con cifre minori, Marche, Bolzano, Liguria, Friuli, Valle d’Aosta ed Umbria.

A partire dalla Sardegna (6 mld di euro) invece, tutte le altre regioni ricevono di più di ciò che danno: Campania e Puglia 7 mld, Calabria 6 mld, Basilicata 1,5 mld, Molise 0,5 mld e Trento 0.3 mld, per finire con gli 11 mld della Sicilia.

All’interno di queste cifre che rimarranno invariate, la differenza sarà nei settori di competenza, che potranno su richiesta di ogni Regione e con l’assenso dello Stato aumentare. La rivoluzione sarà però soprattutto nell’autonomia della gestione dei fondi erogati.

Faccio un esempio: alla Campania vengono per esempio stanziati 50 milioni per la costruzione di un ponte. Oggi la gestione di questi milioni e la gestione operativa dei lavori fa capo interamente alle strutture statali. Con la nuova legge, le Regioni che lo richiederanno potranno gestire direttamente le somme loro stanziate.

Il caso recente più eclatante del rifacimento dell’ex Ponte Morandi a Genova, è stato un anticipo, assai positivo, di autonomia differenziata. Soldi statali, gestione locale. Da qui nasce la responsabilizzazione. Non ci potranno essere più alibi sulle colpe e sui ritardi dello Stato. I dirigenti regionali avranno il potere di gestire ciò che lo Stato avrebbe comunque destinato alla loro Regione, ma dovranno rispondere direttamente ai loro cittadini, di come quei finanziamenti sono stati utilizzati.

Per le Regioni inoperose ed a volte irresponsabili questo è un grave rischio, per il resto dell’Italia è soltanto un beneficio. Questa è la realtà, il resto è soltanto propaganda.

Di Pierfranco Faletti.