Regionali Sardegna. Il declino del mito dell'appartenenza
Ci sono delle frasi che, come i tormentoni - canaglia, vengono alla mente per dir così, fuori contesto.
"Il calcio è metafora della vita"... quante volte lo abbiamo sentito?
Analizzando i dati delle elezioni in Sardegna e dello scarto da frazione di decimale tra la vittoria della Todde e la sconfitta di Truzzu la frase tormentone si riaffaccia.
Il calcio moderno ha perso, e parlando di Sardegna il discorso si fa ancora più incisivo, una delle caratteristiche che avevano segnato i suoi inizi: e cioè la figura del "calciatore - bandiera" e cioè l'atleta consacrante tutta (o gran parte) della propria vita agonistica ad un'unica squadra (o come si dice ad un'unica maglia).
Oggi le squadre più vincenti in sede nazionale ed internazionale, tranne rarissime eccezioni, alternano professionisti anche all'interno di una stessa stagione e, ai livelli più alti, è difficile vedere una squadra che giochi con gli stessi elementi per più competizioni.
Può non piacere ma nel calcio il valore dell'appartenenza rimane un ricordo struggente: anche i tifosi più in età hanno consapevolezza che per vincere occorrono calciatori bravi da stra-pagare che oggi giocano con te e domani con il tuo avversario calcistico.
E' la vita.
La politica a questo declino dell'appartenenza ci sta arrivando con più difficoltà.
Ciò per molteplici ragioni.
La prima rappresentata dal fatto che la struttura gerarchica novecentesca dei partiti saldamente ancorata ai territori, ed ai politici rappresentativi dei territori stessi, per quanto diluita risulta ancora resistente.
Dall'altra vi è la visione del partito come esercito in lotta (politica) con la conseguente solidarietà di trincea: che comporta un sentimento di lealtà e di riconoscenza nei confronti di chi ha condiviso il freddo ed il fango della trincea medesima.
Nel calcio il senso dell'appartenenza e della lealtà di spogliatoio e di trincea è certo sentimento lodevole.
Ma vale lo stesso in politica?
Per dirla in forma sintetica e diretta: in politica deve prevalere il senso della lealtà di appartenenza o la valutazione meritocratica del più atto al ruolo?
Le grandi svolte politiche e sociali sono spesso precedute da eventi piccoli, se non marginali, di cui solo in una prospettiva si riesce a comprendere il nesso causale.
Certo ad oggi la vittoria della sinistra in Sardegna può essere liquidata come un incidente di percorso (e per di più su uno scarto di parte di decimali).
Ma sebbene episodio da non sopravvalutare in senso politico esso non va nemmeno sottovalutato.
L'analisi cioè non deve limitarsi alla tecnicalità dell'incidenza del voto disgiunto o dei (possibili ma indimostrabili) tradimenti elettorali da parte degli alleati.
La matematica elettorale dice tanto ma non dice tutto.
Ed è in quella parte di non detto che l'analisi deve essere impietosa. Se un candidato sindaco di una città risulta inviso ai suoi stessi cittadini (non importa se a torto o a ragione) perchè dovrebbe essere votato dalla popolazione elettorale di altre città?
La risposta al quesito la ha data la "appartenenza".
Si è pensato cioè che la solidarietà di trincea potesse far aggio sul sentimento di adeguatezza percepito dagli elettori.
E qui occorre un'ulteriore analisi. Il leader politico struttura un consenso politico che non è, per composizione e natura, coincidente con quello dei cosiddetti "influencer".
Se una blogger con decine di milioni di follower indossa una borsa od una tuta si può stare matematicamente certi (e ce lo confermano gli algoritmi dedicati) sul successo commerciale dell'operazione. Ma il messaggio politico non coincide con il messaggio commerciale degli influencer: ed il declino (e la rovina) degli influencer avventuratisi, per inerzia da piano inclinato, dal commerciale al politico lo dimostra.
Ma è vero anche l'inverso. Nel momento in cui il leader politico dà la sensazione di comportarsi da "influencer" del voto il corpo elettorale non sempre reagisce secondo i desiderata.
Non è certo un problema di facile soluzione soprattutto in un paese come l'Italia dominata dal familismo e dall'amichettismo che colpisce ogni forza politica, ogni struttura di potere.
Ci sarà un motivo per cui i professori universitari son tutti padri, figli, nipoti, mogli, mariti e via declinando situazioni personali, strutturali od occasionali?
Ci sarà un motivo per cui per i rampolli dell'alta borghesia qualche soluzione prestigiosa si trova sempre ed, in ultima istanza, gli si può sempre far fare il parlamentare?
Ci sarà un motivo se tra i "boiardi" di stato meglio pagati figurano, immancabilmente, figli e nipoti delle più alte cariche dello stato?
Non si può quindi chiedere al singolo partito politico di caricarsi di una sorta di palingenesi della società in funzione meritocratica.
Ma, come nel calcio, il singolo partito o la singola coalizione può cercare di attrezzarsi per vincere il campionato.
Mandando in panchina giocatori (magari cuore ed anima) tecnicamente meno dotati con l'inserimento di elementi migliori reclutati anche al di fuori del perimetro circoscritto del "vivaio".
Si vince con quelli bravi.
Ed in politica se poi quello bravo non è della tua trincea ma di quella accanto occorre farsene una ragione.
L'importante è che combatta la tua stessa battaglia.