Due anni fa partiva il greenpass, strumento di ricatto e di tortura: a celebrarlo, l'ennesima morte sospetta

Il lasciapassare verde sancì la nostra entrata in guerra, ma una guerra che nessuno ha capito. Una guerra dal regime contro i cittadini, per avvelenarli meglio e senza nessun vantaggio. Adesso viviamo una tregua, ma non siamo più né torneremo mai gli stessi.

Il secondo compleanno del greenpass si festeggia con l’ennesima morte improvvisa, inspiegabile, ma spiegabilissima: quella della poliziotta Raffaella de Luca, 29 anni, un bimbo di 7 mesi, un compagno che ha solo lacrime. Come appartenente alle forze dell’ordine era obbligata a farsi somministrare anticovid di continuo. Se n’è andata per un infarto anomalo in una donna sana di nemmeno 30 anni e la magistratura di Castrovillari ha disposto l’autopsia, ha aperto una inchiesta, il suo sindacato, LeS, dice: vogliamo sapere se c’entra il vaccino, ma è uno scrupolo formale perché c’entra di sicuro. Come c’entra nella sordità di Piero Pelù, testimonial di stato per i vaccini, nella morte di Berlusconi, vecchio e malandato ma distrutto da leucemia fulminante riscontrata dopo la terza dose, nella fine imminente della cantante Madonna, negli abbandoni degli atleti Berrettini e Jacobs e nelle centinaia di migliaia di casi in Italia e nel mondo. Ma l’Europa, prima responsabile del greenpass che serviva a ricattare, fa finta di niente e rilancia nuove pandemie da curare con nuovi preparati da imporre con nuovi greenpass più pervasivi e più ossessivi. Da noi lo introdusse il banchiere europeo Draghi con una menzogna colossale che da sola sarebbe dovuta valere la galera: “E’ una garanzia di sicurezza e di libertà, non ti vaccini ti ammali, infetti, qualcuno muore”. E sapeva di mentire perché già l’ISS, l’AIFA occultavano la casistica maledetta, le reazioni avverse che scoppiavano a ripetizione, svenimenti, paralisi, miocarditi, infarti, decessi. Un certificato per verificare lo stato vaccinale una garanzia di libertà? Ma c’erano costituzionalisti di servizio, vergognosi, a ribadirlo e c’erano scienziati di servizio, inverecondi, a garantirlo. C’erano ministri come Brunetta che salutavano la coercizione come “una trovata geniale”; ex sindacalisti come Giuliano Cazzola che volevano “le cannonate di Bava Beccaris per i novax”, l’apologia di strage, di terrorismo sulla quale la magistratura si chiudeva le orecchie; politici di potere come Licia Ronzulli, come mille altri, che non si vergognavano di rivolgere minacce e insulti volgarissimi, da postribolo agli spaventati e ai contrari al vaccino. E c’erano giornalisti dall’imbarazzo astintomatico che si sentivano in dovere di informarci: “Ho tirato fuori il mio greenpass e ho goduto”. In mancanza di meglio, evidentemente.

Ma non tutti se ne davano per inteso, molti sì, tutti no e allora sempre il banchiere europeo che faceva gli interessi di Bruxelles lanciava un supergreenpass ancora più punitivo, buono a togliere il lavoro ai dubbiosi, ai recalcitranti, qualcosa di inaudito nella nostra storia repubblicana, inaudito ma dato per buono e per scontato dalla quasi totalità della informazione col seguente squisito argomento: “la libertà individuale è sopravvalutata”. Era d’accordo anche il nostro Mattarella, formalmente il custode della Costituzione, in concreto il suo becchino e questo supergreenpass spingeva ancora molti, tutti no, molti sì, a procedere. E l’ecatombe ovattata era già partita e dopo poco tracimava. Lì ci siamo chiesti “se poi sia tanto difficile morire” e ci siamo risposti che no, non lo era affatto, era la cosa più semplice del mondo. Morire per davvero o almeno nella psiche: al ritorno da questa guerra, dichiarata dal potere marcito in regime non si sa per conto di chi, contro chi, ma sulla pelle di tutti, saremmo stati altro. Non più quelli che usavamo essere, un po’ meno soggetti, un po’ più oggetti, smarriti, confusi. Gente che ancora a distanza di due anni se si incontra parla di quello, i lockdown, i greenpass, le dosi, le umiliazioni patite.

Perché ci fu anche questo: la disumanità incontrollata, le famiglie che si frantumavano, le coppie che scoppiavano, gli ambienti di lavoro come cosche mafiose, le delazioni condominiali, il disprezzo e l’odio, le tribù contrapposte, divise tra loro e al loro interno, i professori, gli statali cacciati, rispediti a casa, isolati, chiusi negli sgabuzzini, additati, roba impossibile da superare anche dopo, anche nel ritorno a una normalità di facciata. Perché la normalità reale non l’abbiamo avuta più e non l’avremo più. Questa è solo una tregua, in attesa, e per alcuni fervida attesa, di nuove occasioni per rinchiuderci. E molti non vedono l’ora di rintanarsi ancora come ratti. L’Unione Europea l’ha appena detto, insieme all’OMS: preparatevi, non ci sfuggirete. Hanno annunciato un global greenpass che riduce i precedenti al loro vero ruolo, quello di esperimenti, già micidiali ma acerbi. Con la nuova versione non ci sarà spazio per dissentire o nascondersi, il controllo arriva prima: non ti vaccini non lavori, non paghi le tasse non esci, non cambi la caldaia non vivi, non adotti l’auto elettrica non ti muovi. Uno di questi aggeggi è appena esploso, dentro c’erano due ricercatori del CNR, lei morta, lui in fin di vita, ma i notiziari ci hanno girato intorno, hanno informato senza alludere all’esplosione della batteria, della meccanica elettrica, hanno parlato genericamente di prototipo come fosse stata una navicella spaziale o un dirigibile e lo stesso CNR, in prima linea nella sponsorizzazione della transizione verde europea sulle ruote dell’auto elettrica, se l’è cavata con la retorica del caso, “Non si può morire così, sacrificati sull’altare della ricerca”. Ed era un Centro di ricerca nazionale a parlare. Ma l’altare di chi era? Degli stessi che, siccome, forse, c’è un Dio, si son visti bocciare due volte di fila un delirante “pacchetto Natura” che consisteva, né più né meno, nell’abolire ogni traccia umana dall’Europa con la formula, delirante, della “restituzione della natura alla natura”. Qualcosa che la stessa Greta, probabilmente, non avrebbe saputo escogitare. 25mila chilometri di percorsi fluviali senza interventi di sorta, bando ai pesticidi, l’agricoltura senza agricoltura, il rigoglio abbandonato a se stesso, gli habitat naturali a disposizione di specie animali incontrollate, uno scenario giurassico come vuole quel personaggio malato che è Timmermans, il socialista olandese che pure ha cercato di convincere i contrari con le armi della blandizie corruttiva e della intimidazione mafiosa. Ma si sono resi conto che farsi corrompere non aveva senso se l’esito era fatale.

Andrà così anche col megaglobal greenpass? Difficile dirlo, difficile capire quale sia il livello di saturazione oltre il quale anche i più fanatici passano la mano. Certo la prospettiva di una identità digitale con la quale il potere nazionale e sovranazionale può disporre pienamente di ciascuno, non è incoraggiante. Ma è anche vero che una fra le principali colpevoli della transizione verde, il colosso americano BlackRock, ha cominciato a frenare sulla certificazione “Esg” che fa da garanzia ambientale alle aziende; non per sopraggiunti scrupoli di coscienza, ma per brutale concretezza: diverse compagnie assicurative si sono chiamate fuori, i clienti non le seguono, i vincoli indotti penalizzano le dinamiche di mercato, insomma ci rimettono soldi. E i tanto sbandierati princìpi di “correttezza” si risolvono in patenti di fanatismo ideologico sempre meno sostenibile, che per una dinamica finanziaria improntata alla sostenibilità non è il massimo. Lo stesso per le auto elettriche: in Germania le esaltanti previsioni di mercato degli analisti si sono infrante contro il muro dello scetticismo dei clienti che hanno disertato il nuovo prodotto: un tedesco su tre non vuole sentir parlare di autogreen o full electric. Non gliene frega niente dello sfruttamento dei bambini congolesi o ruandesi per estrarre i minerali rari per le batterie, è che non si fidano, non sono pronti alla macchina senza macchina, l’automobile che è qualcosa d’altro, di mai visto in un secolo e che si vorrebbe rendere inevitabile nel giro di 5 anni. Poi costa troppo.

Sono scricchiolii, segnali allarmanti che spingono l’Europa anche in un’altra direzione: ostacolare, impedire la libertà d’espressione, bloccare le opinioni divergenti, controllare in modo ancora più ossessivo i social, riempire di soldi quei parassiti della censura che sono i debunker, veri e propri delatori staliniani e qui torna utile il total greenpass che assicura una verifica in tempo reale dell’espressività di ciascuno. Insomma il futuro è carico di nefaste promesse e, in barba ai suoi demonizzatori, forse solo il mercato, inteso come scelta definitivamente razionale dei cittadini e dei consumatori, potrà salvarci. Intanto si continua a morire fulmineamente, inspiegabilmente, inesorabilmente, a 29 anni, piene di forza e di salute. E negare che una correlazione ci sia, dopo il milionesimo caso, diventa peggio che complicato, diventa improponibile. L’Unione però non se ne dà per inteso e balla sul Titanic: mentre i 440 milioni di europei accusano le conseguenze dell’inflazione, che il capo di pezza della BCE, Lagarde, manovrata dal solito Draghi, vuol trasformare in recessione su mandato tedesco, l’infima casta dei cinquantamila burocrati vara un piano di bilancio per aumentarsi lo stipendio del 15%; la sola Ursula von der Leyen come presidente della Commissione ritocca il suo di cinquemila euro per una diaria mensile che sfiora i 36mila euro. Un adeguamento doveroso per chi ha negoziato 10 miliardi di dosi, in larga parte rimaste nei frigoriferi, col boss di una casa produttrice per un importo rimasto segreto. Poi provate a dire che i vaccini, tutto sommato, non fanno bene.