Iran, dopo le rivolte, l'illusoria ripresa del controllo da parte del regime, ma lo scollamento classe dirigente-giovani mina la stabilità
Dopo quasi otto mesi di rivolte continue dei giovani iraniani contro il regime islamico, sembra che il controllo della situazione in Iran sia tornato nelle mani delle forze del regime. Regime, però, le cui fondamenta sono scosse da fratture socio-politiche irrimediabili
Dopo quasi otto mesi di rivolte continue e di lotte stradali dei giovani iraniani contro il regime islamico che hanno segnalato la sfida più grande per l’establishment degli ayatollah, sembra che il controllo della situazione in Iran sia tornato nelle mani delle forze del regime. La Repubblica islamica, che dopo l’uccisione della giovane Mahsa Amini si vedeva sull'orlo del crollo, sembra di nuovo tracotante ed i suoi membri si presentano, nel pubblico o nei loro discorsi e affermazioni, come i “vincitori” della guerra; una guerra combattuta contro i giovani e la popolazione civile del Paese, che con le mani vuote hanno manifestato per mesi il loro desiderio per una vita libera e dignitosa.
Il 26 maggio Mojtaba Fada, Capo di Pasdaran della città di Isfahan, in un discorso pubblico disse “mentre interrogavo alcune donne arrestate nelle rivolte, gli ho chiesto di dichiararsi penitenti, mi hanno risposto che "tra poco cambiano le posizioni e siete voi che dovete rispondere nei tribunali" […]”. In realtà, l’obiettivo di Fada, e di altri esponenti del regime, è semplicemente quello di trasmettere ai loro sostenitori, che ormai si trovano in minoranza assoluta, il messaggio che “la crisi è finita e lo status quo è, ancora una volta, prolungato”. Ma sia i ranghi alti del regime che la società stessa sanno benissimo che la rivoluzione in Iran non è finita e può scoppiare una nuova ondata di rivolte in qualsiasi momento. Infatti, questo è il motivo per cui il regime non sblocca l’internet dentro il Paese e continua a mantenere un clima militarizzato in tutte le città iraniane.
Infatti, l’esigenza urgente della Repubblica islamica è proprio quello di far vedere ai governi occidentali, ma anche ai suoi alleati russi e cinesi, che mantiene il pieno controllo del Paese ed è riuscita a mettere fine all’insurrezione. Gli ayatollah sono perfettamente consapevoli del fatto che hanno perso la loro legittimità interna e perciò cercano di mantenere, a qualsiasi costo, una legittimità internazionale.
Gli ayatollah hanno cercato compromessi sul fronte internazionale
A tale scopo, mentre nel fronte interno il regime ha adottato una politica di dura repressione contro qualsiasi forma di dissidenza, rendendo l’Iran una vera e propria gabbia d’acciaio, sul fronte internazionale gli ayatollah ed i loro Pasdaran hanno cercato di ridurre le tensioni, almeno con i rivali nella Regione. L’accordo di normalizzazione dei rapporti con l’Arabia Saudita, con la mediazione cinese, fu infatti il frutto di questa visione all’interno della classe dirigente della Repubblica islamica e dell’esigenza di concentrarsi sulle sfide interne che diventano sempre più vitali per la permanenza del regime.
Oltre all’accordo che [in teoria] ha messo fine a una tensione pluriennale tra la Repubblica islamica ed i sauditi, gli ayatollah di Teheran hanno altri motivi per sentirsi vincitori sull fronte internazionale. Il 26 maggio è annunciato che Asadollah Asadi, un membro del regime che dal 2018 era incarcerato in Belgio per il tentativo di un attentato terroristico a Parigi, è liberato e scambiato con Olivier Vandecasteele, un operatore umanitario belga arrestato in Iran nel 2022. Il fatto che ancora una volta ha dimostrato che l’Europa è ancora disposta ad inclinarsi nei confronti di tentativi di ricatto del regime islamico.
Inoltre, è da mesi che sono in corso delle negoziazioni con l’Egitto per una riapertura delle rappresentanze diplomatiche in due paesi dopo 44 anni. L’Egitto non ha mai ospitato un’ambasciata della Repubblica islamica ed è il paese che ha concesso l’asilo politico allo Scià e la sua famiglia, e ancora oggi preserva rispettosamente il corpo e la tomba dello Scià al Cairo. Dopo l’Arabia Saudita, una normalizzazione dei rapporti con il governo egiziano può essere una considerevole vittoria diplomatica per il regime islamico.
D'altronde, nonostante il fatto che la Repubblica islamica si è schierata ufficialmente accanto alla Russia nella guerra contro l’Ucraina e fornisce l’esercito invasore di Putin con delle munizioni e dei droni kamikaze che colpiscono le città ucraine, la comunità internazionale e soprattutto i governi occidentali non hanno mai preso una dura posizione nei confronti della Repubblica islamica che sta infiammando ulteriormente la guerra in Ucraina. Questo silenzio dell’Occidente ha fatto sì che gli ayatollah diventino sempre più sfacciati nelle loro politiche internazionali e non abbiano alcuna remora nelle violazioni delle norme del diritto internazionale.
Anche davanti alle repressioni, torture, impiccagioni e massacri stradali dei giovani iraniani, i governi occidentali non sono mai andati oltre le parole e non hanno adottato qualche azione concreta per colpire gli interessi del regime; e se non fosse per il coinvolgimento della Russia (uno dei membri del c.d. Gruppo 5+1) nella guerra, sarebbero probabilmente seduti ancora una volta accanto alla tavola di negoziazione sul nucleare con la Repubblica islamica, facendo finta che in Iran tutto stia andando bene e l’unico problema sia il nucleare!
Questi sono i motivi per cui gli ayatollah di Teheran si dimostrano superbi e presuntuosi. Loro credono di aver soffocato la rivoluzione dei giovani all’interno e di aver sopraffatto gli occidentali nella scena internazionale. Ma la verità è che le fondamenta del regime islamico sono scosse e le fratture socio-politiche in Iran sono irrimediabili, qualsiasi sia l’atteggiamento dei governi occidentali nei confronti del regime. La Repubblica islamica va inevitabilmente verso quello che è il destino comune di tutti i sistemi totalitari, ovvero, il crollo.
Il pugno di ferro del regime ha inflitto alla società iraniana un grande numero di vittime e un grave peggioramento della situazione dei diritti umani all’interno del Paese. Ma il pugno di ferro, almeno in questo caso, non può essere una soluzione duratura. Le motivazioni che portano i giovani iraniani nella piazza sono molto più profonde e le loro rivendicazioni non possono essere soddisfatte se non con l’abolizione della teocrazia in Iran.
Negli ultimi mesi la Repubblica islamica ha vissuto il periodo più critico della sua esistenza. La radicata crisi economica, la mancanza delle libertà civili e politiche, la rigidità del sistema teocratico davanti alle rivendicazioni popolari, la diffusa e onnipresente corruzione politico-economica, numerose tensioni regionali e internazionali in cui è coinvolto il regime insieme all’impossibilità di riforme istituzionali all’interno dell’antiquato sistema politico del Paese, sono i principali motivi che hanno esposto la Repubblica islamica davanti alle profonde crisi di legittimità interna e internazionale.
L'identità, la ragione dell'inimicizia tra le generazioni più giovani e il regime islamico
Ma la ragione più profonda che sta alla base dell’inimicizia delle generazioni più giovani dell’Iran con il regime islamico non è nessuno dei motivi sopraccitati, e può essere definita in una sola parola: l’identità.
La Repubblica islamica, istituita in Iran nel 1979 a seguito di una violenta rivoluzione islamico-comunista contro la Monarchia iraniana, ormai non rappresenta più la classe giovanile e non è riuscita ad evolversi a pari passo con la società iraniana. Infatti, i valori, i messaggi, i simboli ed i meccanismi che il sistema promuove sono gli stessi degli anni ’70 del secolo scorso e non sono in grado di attrarre i giovani di oggi che crescono con i social media ed i valori del mondo moderno.
Chi viaggia in Iran viene subito colpito da questa “vita duale” del Paese e dalla netta separazione tra il regime e la società civile iraniana. Questo conflitto identitario è la chiave di lettura di tutto quello che riguarda l’Iran. Non è un fenomeno nuovo. Infatti, la Repubblica islamica per una parte della società iraniana è sempre stata “il nemico”, ma mentre fino a qualche anno fa il regime era dominante e l’atteggiamento della società civile era quello di resilienza, oggi l’atteggiamento è cambiato e radicalizzandosi ha dato vita ad un vero e proprio movimento di resistenza, mettendo a repentaglio il dominio stesso del regime persino nelle strade del Paese.
La classe dominante della Repubblica islamica è formata dalle stesse persone che hanno fatto la rivoluzione nel 1979. Una generazione invecchiata che vuole conservare un’ideologia novecentesca che non appartiene al mondo di oggi. Ed è evidente che questa classe e la sua ideologia non possono restare predominanti in un paese che più di 70% della sua popolazione ha meno di 40 anni e non ha neanche visto la rivoluzione islamica ed il suo clima radicale.
Inoltre, i millennial iraniani hanno trovato un punto di riferimento in quello che è il passato laico del loro Paese. La Monarchia iraniana, contro la quale i rivoluzionari islamici combattettero per istituire uno Stato islamico, è vista da questi giovani e giovanissimi come una garanzia di laicità e di progresso del Paese. Anche qui, la campagna del regime per cancellare il passato e l’identità storica della società iraniana si è dimostrata fallimentare ed oggi il nome degli Scià della dinastia Pahlavi sono scritti sui muri delle città iraniane ed i giovani nelle loro manifestazioni cantano “Ey Shah-e Iran, Bargard be Iran” (Il re dell’Iran, torna in Iran).
Il modus pensandi delle nuove generazioni dell’Iran non è quello dei loro genitori e si nutre da un’impressa rivoluzione culturale, moderna ed all’avanguardia, che è già avvenuta negli ultimi anni ed è esattamente questa rivoluzione culturale che inevitabilmente porterà ad una rivoluzione politica in Iran.
Dopo l'uccisione di Mahsa Amini, la quarta ondata di una rivoluzione iniziata nel 2017
Il movimento che possiamo definire come la nuova rivoluzione iraniana, in effetti, ha radici profonde e quello che sta succedendo in Iran negli ultimi mesi è solo l’ultimissima fase e sicuramente quella più acuta di questo movimento. La fase che per le sue caratteristiche ha attirato l’attenzione dei media e degli osservatori internazionali.
Ma l’Iran è almeno dal 2017 che sta combattendo la Repubblica islamica in modo inconciliabile. Le rivolte scatenate dopo l’uccisione di Mahsa Amini sono state, in realtà, la quarta ondata di un movimento più ampio. La prima ondata è avvenuta nel dicembre 2017 innescando l’idea generale di un totale superamento del regime islamico. La seconda ondata avvenne nell’estate del 2018 e la terza, e forse la più sanguinaria, nel novembre 2019. E oggi il Paese traversa la quarta ondata che è anche quella più pervasiva. L’elemento comune di tutte queste rivolte è la richiesta dell’abbattimento della totalità del regime islamico e di istituzione di una nuova forma di stato e di governo attraverso un referendum popolare e democratico.
Queste rivolte vanno viste ed analizzate assieme. Non sono movimenti solitari o isolati e si nutrono dalla stessa fonte intellettuale e dal desiderio condiviso da parte della società civile iraniana di poter vivere una vita serena, prospera e soprattutto libera. Il sogno che è incompatibile con l’esistenza del regime della Repubblica islamica al potere.
Chi pensa che il pugno di ferro e la repressione potranno mettere fine alle rivendicazioni dei giovani iraniani, deve riguardare le dinamiche del Paese negli ultimi sette anni. Le rivolte sono sempre state represse duramente da parte del regime, ma sono sempre tornate più forti e la successiva ondata è sempre stata più radicale e più pervasiva di quella precedente, coinvolgendo un numero maggiore delle città iraniane e una fetta più grande della popolazione. Ed era così che siamo arrivati al movimento di Mahsa.
Infatti, l’uccisione di Mahsa Amini, per quanto tragica e ingiusta, non era il vero motivo della ripresa della rivoluzione ma la sua scintilla. I motivi di contraddizione dei giovani iraniani con il sistema teocratico ed autoritario del Paese sono in realtà molto più ampi e in parte li abbiamo descritti nei paragrafi precedenti.
Nel 2017 la scintilla fu il carovita e l’aumento dei prezzi dei beni alimentari, nel 2018 la repressione e le pressioni sociali, nel 2019 l’aumento inaspettato del prezzo dei carburanti, e nel 2022 sempre le pressioni sociali, le condizioni delle donne e la mancanza di libertà individuali che si sono culminate con la tragedia di Mahsa Amini. Tutte queste condizioni continuano ancora oggi e, anzi, si peggiorano ogni giorno in Iran. E la società civile vede calpestata i suoi desideri sia nel campo economico sia nel campo sociale e culturale.
Le radici dei problemi economici dell’Iran sono la corruzione e la malagestione dell’economia da un lato, e le tensioni con la comunità internazionale dall’altro. E la Repubblica islamica sembra incapace di risolvere entrambi i problemi. L’economia iraniana soffre di un eccessivo controllo dello Stato e dei suoi Bonyad (fondazioni religiose). Quasi tutti i settori chiave dell’economia iraniana, dal settore petrolifero a quello di acciaio, di rame, di alluminio, e perfino il settore automotive, sono tutti monopolio di Stato ed i Bonyad e le diverse agenzie delle Guardie della Rivoluzione islamica (i Pasdaran) controllano pienamente queste industrie. E questo, considerando la natura del regime iraniano, non può avere un risultato diverso da una gestione economica di carattere mafioso e corrotto. Solamente nell’ultimo decennio la classe povera in Iran si è ampliata di undici milioni e ogni mese più famiglie vengono spinte sotto la soglia di povertà. Il Paese soffre di un’inflazione che supera il 70% e con la persistenza dello status quo non c’è nessuna prospettiva di miglioramento delle condizioni economiche.
Anche le tensioni internazionali e le dispute con l’Occidente sembrano impossibili da risolvere finché persiste la Repubblica islamica. Il problema non è né il nucleare né il programma missilistico del regime; bensì la natura anti-occidentale e anti-israeliano del regime degli ayatollah che non si può essere risolta con nessuna negoziazione e dialogo diplomatico. La Repubblica islamica per via del suo DNA e della sua ideologia non può mai essere un membro “normale” della comunità internazionale ed integrarsi nell’economia mondiale.
Per quanto riguarda invece il campo socio-culturale, va ricordato che la vecchia classe dirigente della Repubblica islamica che viene da un background di fondamentalismo sciita, non si è dimostrata disposta a concedere nessun diritto ai giovani iraniani. Solo negli ultimi mesi loro hanno optato di massacrare centinaia di giovani e decine di bambini ma non di fare un passo indietro su una questione marginale come quella dell’hijab obbligatorio. Il 27 maggio il rappresentante di Ali Khamenei [Leader Supremo del regime islamico] nella regione di Alborz ha affermato che “l’hijab obbligatorio è il nostro muro di Berlino e non permetteremo il suo crollo”.
I giovani iraniani ritengono che con la Repubblica islamica non ci sia la possibilità di una vita migliore
I giovani iraniani sono consapevoli di tutto questo e sono giunti alla conclusione che con la Repubblica islamica non c’è nessuna via verso una vita migliore. In tutti questi anni qualsiasi fosse stata la scintilla delle proteste, gli slogan e le richieste sono sempre stati gli stessi: “morte al dittatore” e “No alla Repubblica islamica”. Perché tutte le insurrezioni popolari in Iran hanno le radici nella stessa fonte intellettuale, che è, appunto, una rivoluzione culturale avvenuta negli ultimi anni e che ha rivoluzionato il pensiero dei giovani iraniani.
L’analisi della tendenza dei movimenti sociali e delle rivolte anti-regime in Iran ci dà due elementi fondamentali per poter prevedere il futuro: il primo è che la rivoluzione in Iran si riprenderà e dobbiamo solo aspettare la prossima scintilla. Il secondo è che quando i giovani iraniani ritorneranno in piazza, le rivolte saranno ancora più radicali e ancora più pervasive.
Il fatto è che nella mente e nel cuore dei giovani iraniani la Repubblica islamica è già caduta, ed essa, prima o poi, cadrà anche nelle strade dell’Iran; ed il mondo deve essere pronto per vedere un Paese che festeggia la sua libertà.